Cosa faresti per me? - prima parte

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Gli occhi mi si dilatarono nel momento stesso in cui disse quell'ultima frase. E persino mio padre si rese conto di aver usato la più terribile delle parole, dacché per un millesimo di secondo la sua espressione si fece carica di mortificazione.

«John!» Lo richiamò Jane. L'intonazione indignata, i lineamenti del viso contrariati. «Si può sapere cosa ti dice il cervello?»

Papà, però, non le diede ascolto. La voce della sua compagna sembrò non avere alcun peso, forse perché la sua totale attenzione era rivolta verso Cameron.

«Ti ho fatto una domanda», gli disse, insistendo ancora.

Mi sentii impotente. Un'estranea nel mio stesso corpo. Non riuscivo a muovermi, ero completamente paralizzata di fronte a quella situazione. Le braccia mi cadevano lungo i fianchi, le mani mi tremavano lievemente mentre tentavo con tutta me stessa di far uscire anche una sola sillaba dalla mia bocca.

Le pupille di Cam fuggirono ancora una volta all'occhiata diretta di mio padre, e finirono nelle mie.

«Non guardare lei, guarda me.»

Cameron deglutì, e quella fu una delle poche volta in cui lo vidi seriamente in difficoltà.

Non volevo che si prendesse tutta la colpa, che affrontasse tutto da solo. Eppure non stavo facendo nulla per aiutarlo. Mi ero tramutata in un manichino, ma non potevo permettermi di rimanere a labbra incollate.

«Papà» la voce mi uscì incerta, una specie di sussurro intimorito. «Io sono qui», gli ricordai. «Non è solo con lui che devi parlare.»

Non mi guardò nemmeno. Forse non riusciva a farlo, forse non voleva proprio. «Cameron sa perfettamente perché parlo con lui.»

Cameron annuì, e lo fece a capo chino, mormorando: «Lo so.»

«John, calmati un attimo. Ti stai comportando come un pazzo.» Andò in difesa Jane. «Torni a casa e te la prendi con i ragazzi così di punto in bianco, senza dar loro una spiegazione.»

«Dovrei essere io a darla a loro?» Gli sfuggì una risata beffarda. «Sono loro che dovrebbero darla a noi! Ho telefonato a tuo figlio perché ero preoccupato per il modo in cui stava piovendo, e sapevo che stava tornado a casa da Boston. Lui accetta una chiamata che aveva tutta l'intenzione di declinare e io vengo a scoprire che si trova con mia figlia, e gli sento dire l'ultima delle cose che un padre vorrebbe ascoltare.» La vena sulla tempia minacciò di scoppiare da un momento all'altro. «Mi sto comportando da pazzo perché voglio sapere da quanto tempo stanno insieme alle nostre spalle?»

Sorpresa e vergogna mi attanagliarono le viscere. Sentii le spalle irrigidirsi mentre l'immagine di Cameron che prendeva il cellulare dalla tasca dei pantaloni e lo gettava nei sedili anteriori mi balzava in mente, così come la frase che doveva aver udito mio padre.

Voglio stare dentro di te.

Lo sguardo di Jane virò dal figlio alla sottoscritta. Ci osservò con disapprovazione, poiché probabilmente credeva che avessimo agito nuovamente anche alle sue di spalle.

«Lo stai facendo accanendoti in questo modo.» Asserì verso il suo compagno. «Capisco che tu sia sconvolto, ma c'è modo e modo di dire le cose.»

«E tu non lo sei?» Ribatté lui. «Non sei sconvolta?»

«Mamma», Cameron scosse la testa, intimandole di non continuare. «Per favore.»

«Va avanti da un po'.» La mia voce fendé l'aria e stroncò all'istante quello scambio di battute fra i tre. La sorpresa nel volto di Cameron si scontrò con l'espressione amareggiata di mio padre, che mi guardò davvero e lo fece nell'unico modo in cui non avrei mai voluto essere guardata da lui.

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