«Jey, sembra che tu stia osservando una mostra d'arte.»
Mi appoggiai per l'ennesima volta al corrimano nell'attesa che Jessica, intenzionata a soffermarsi su ognuna delle fotografie appese alla parete, passasse avanti.
«Non pensavo aveste così tante foto insieme.» Evidentemente lei non aveva proprio voglia di staccare gli occhi da quelle immagini.
Non avevo fretta di scendere, ma tutta quella lentezza faceva risalire in superficie la mia ansia, ed era l'ultima cosa che mi serviva.
Ero riuscita a convincermi, mentre me ne stavo in camera ad osservare la mia amica, in piedi davanti allo specchio e determinata a eliminare ogni traccia del suo pianto con il correttore, di non aver alcun motivo per essere così agitata. E fin quando ero rimasta nella mia piccola bolla, la fiamma di quella convinzione aveva combattuto con onore contro il vento delle mie sensazioni. In quel momento, però, la sentivo ondeggiare violentemente in una chiara minaccia di abbandono.
«Guarda questa! Mamma mia quanto siete cresciuti» mi diede una gomitata e, a quel punto, dovetti girarmi per forza. Si trattava di un'istantanea tanto colorata quanto imbarazzante: la primissima cena insieme a Cameron e Jane, quella delle presentazioni.
L'immagine ci ritraeva tutti e quattro vicini, sorridenti e ignari degli sviluppi che quello strano quadretto avrebbe compiuto nel corso degli anni.
«Perché mi facevi uscire conciata così?» Fosse stato per me quella foto sarebbe rimasta nei meandri dimenticati di un cassetto qualsiasi, ma per Jane non era così e nemmeno per mio padre.
Li avevo pregati di non esporla perché io, a quel tempo, non ero proprio quella che poteva essere definita arte su tela; l'apparecchio ai denti, l'orribile vestito giallo evidenziatore con un motivetto floreale e quel cerchietto abbinato mi rendevano più simile alla versione non famosa di Ugly Betty.
Neanche Cameron, a dirla tutta, era il ritratto della perfezione. Il taglio di capelli a scodella con tanto di ciuffo a coprire l'intera fronte, accuratamente pettinato da un unico lato, non gli donava per niente; eppure nemmeno lui si era opposto dacché – secondo il suo modesto parere – era bellissimo anche allora.
Certo, non ero del tutto sicura che il suo appoggio avrebbe cambiato qualcosa, considerato il grande valore affettivo che i nostri genitori attribuivano a quella rappresentazione, tant'è che alla fine mi ero arresa alla sua affissione.
Jessica piegò un sopracciglio. «Adesso è colpa mia?» sbuffò. «E poi non mi avresti comunque ascoltata. Mi stai a sentire solo quando ti conviene!»
«Da che pulpito!»
In quel momento, vicina com'ero, riuscii a scorgere il gonfiore delle sue palpebre. Ci aveva messo tutta se stessa per nasconderle, e nonostante il trucco avesse fatto miracoli loro erano ancora presenti, a riprova del suo sfogo, a conferma di quanto le avevo suggerito in camera.
Difatti sotto la mia risposta si celava una piccola frecciatina per ricordarle quanto, secondo me, fosse una pessima idea uscire con Brad e compagnia bella quella sera. Non è che non volessi passare una serata in loro compagnia, solo che volevo distrarla da Tyler. Portarla in un posto in cui probabilmente lo avrebbe visto non mi pareva molto allettante come distrazione, anzi era come se l'accompagnassi mano nella mano al patibolo.
Ma lei era stata categorica: "Non mi importa se ci sono Tyler e Lucas, non posso rinchiudermi in casa ed evitare di andare alle feste o in qualsiasi altro posto pur di non vederli. Ho già superato quella fase, credimi." A quel punto avevo abbassato le spalle con rassegnazione.
«E smettila di guardarmi in quel modo severo» le puntai il dito contro. « Potresti giocarti il caffè!»
«Mi stai ricattando?» provò a fare la dura ma lo vidi, sotto sotto, il suo piccolo sorriso riconoscente.
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Under the same roof
Novela JuvenilCharlotte Reed, trasparente come l'acqua cristallina e drammatica come un'attrice di teatro, non è assolutamente pronta ai cambiamenti che le si paleseranno nel mezzo dei suoi diciassette anni. In particolar modo, non è preparata alla proposta di su...