Mi girai di pancia, infastidita da una voce che continuava a ronzarmi nelle orecchie. Una voce femminile, che non voleva saperne di lasciarmi in pace.
La ignorai. Feci quanto possibile per continuare a dormire, ma la mia ostinazione non servì a nulla.
Jessica mi strappò via le coperte, costringendomi ad allungarmi per riportarmele addosso. Peccato che non mi permise di rimettermi comoda.
«Cinque minuti.» La pregai, mettendo la testa sotto al cuscino.
Mi tolse pure quello.
«Non te ne do neppure uno. Abbiamo un problema bello grande, quindi alzati.»
Mugugnai contrariata e mi coprii gli occhi con un braccio. «Definizione del problema?»
«John Reed.»
Mi misi a sedere con uno scatto. «Cos'è successo?»
Impiegai diversi secondi prima di mettere a fuoco la vista, ma non appena riuscii a vedere limpidamente i suoi tratti, mi furono chiare due cose: Jessica era tanto preoccupata quanto dispiaciuta.
«Ecco... Hai presente il piano a prova di bomba?» Arricciò il naso. «È saltato in aria. Completamente. Tuo padre ha telefonato a entrambe, non è riuscito a rintracciarci e ha... ha chiamato mia madre.»
Mi sentivo intontita. Forse stavo ancora dormendo, magari era solo un incubo.
«Lei, gli ha detto che non eravamo lì e che avremmo dovuto essere da lui, quindi... Tuo padre ha contattato Cameron.»
Scossi la testa. «Non è vero.»
«Vorrei che non lo fosse, credimi.»
«Che ha detto Cameron?»
Jessica si strinse nelle spalle. «Tuo padre non gli ha dato alternative, sapeva già tutto. Lo ha messo con le spalle al muro prima ancora che provasse a coprirti. Cam gli ha detto una mezza verità, quindi se John dovesse chiederti qualsiasi cosa, siamo rimaste qui perché abbiamo aiutato Tyler a ripulire il casino della festa, si è fatto tardi e ci siamo rese conto che mettersi alla guida poteva essere rischioso.»
«Sarà furioso.»
«Lo è anche mia madre, però sì. Cameron me lo ha passato. Mi ha chiesto di portarti subito da lui, all'ambulatorio.»
Mi sbagliavo, non era un incubo ma un incubo nell'incubo. Ero finita in inception e nemmeno me n'ero accorta.
«Charlie, dammi un segno di vita, sembri l'urlo di Munch.»
Mi coprii il viso con entrambe le mani. «Devo prendere il vestito, l'ho lasciato in bagno.»
«Ci ho pensato io.» Si allungò verso il cassettone e afferrò l'indumento, porgendomelo. «È stato Cameron a darti quelli?» Indicò gli abiti che stavo indossando e io abbassai gli occhi sulla felpa.
Annuii come un automa.
Fu come se mi avessero trafitto la testa con una spada di ricordi. Momenti che avevo accantonato, presa dal fallimento di un piano a cui non avevo mai creduto, e che adesso mi scoppiavano nel cervello in un susseguirsi di immagini fin troppo nitide.
Io che me ne stavo appoggiata contro il piano della cucina e ridevo, Cameron che si avvicinava e mi sfiorava la mandibola. Il suo respiro sulle mie labbra, la sua lingua a contatto con la mia.
Dio, che avevo combinato?
«Charlie?» Jessica mosse la mano davanti ai miei occhi. «Tutto ok?»
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Under the same roof
Teen FictionCharlotte Reed, trasparente come l'acqua cristallina e drammatica come un'attrice di teatro, non è assolutamente pronta ai cambiamenti che le si paleseranno nel mezzo dei suoi diciassette anni. In particolar modo, non è preparata alla proposta di su...