Ero nervosa e non riuscivo a capire perché.
I miei pensieri erano un continuo ruminare di parole che avrei potuto dire. Il cuore sembrava pulsarmi in ogni parte del corpo, e le mani mi tremavano persino mentre chiudevo la macchina di mio padre.
Continuavo a ripetermi che dovevo calmarmi. Non stavo camminando verso qualcosa di incerto. Conoscevo i sentimenti di Cameron e conoscevo i miei. Eppure mi sentivo come se, anziché attraversare la strada, stessi attraversando l'ignoto.
Una sensazione assurda, pari a un buco al centro dello stomaco, che mi accompagnò dentro casa e mi seguì lungo le scale, fino alla sua stanza.
La porta era abbastanza aperta da mostrare parte finale del letto e, di conseguenza, Cameron stesso.
Se ne stava in piedi dall'altro lato della struttura, con le mani dentro al borsone che solitamente portava con sé nelle volte in cui usciva a giocare con mio padre.
Il cigolio del legno lo avvisò della mia presenza, ma lui sollevò il capo solo quando fui completamente dentro la sua camera.
«Abbiamo cambiato filosofia?» mi domandò.
«Su cosa?»
«Sulla violazione della privacy. Oppure la regola del bussare vale solo per me?»
Un sorriso mi affiorò sul viso. «Ti serve davvero una risposta?»
Cameron sollevò un angolo delle labbra e scosse la testa. «Niente partita per te?»
Scrollai le spalle. «Non sapevo neppure dell'esistenza di una partita.»
Ma avrei dovuto capire subito che ce ne sarebbe stata una, considerato il borsone sul letto e i pantaloncini che aveva addosso.
«Brad si è fissato col basket; giochiamo tra un'ora. Tanto per fare qualcosa tutti insieme prima che lui venga travolto dagli allenamenti di football.» Aggrottò improvvisamente le sopracciglia. «Jessica ha detto che sarebbe venuta. Siete state insieme, quindi credevo lo sapessi.»
«Ecco...» Mi avvicinai al letto. «In realtà...» Fuggii dal suo sguardo, abbassandolo sulle sue mani. Nel farlo, i miei occhi inciamparono su un sacchetto in cartone bianco, attratti da un nome scritto in nero. Il mio.
Cameron dovette seguire il mio sguardo poiché, quando alzai il viso e incontrai i suoi occhi, mi sembrò parecchio teso.
«Quella è per me?»
Gettò una rapida occhiata alla busta, poi mi guardò nuovamente. «Non conosco altre Charlotte.»
«Mi hai fatto un regalo di Natale?»
Si passò una mano sulla nuca. «Più o meno.»
Sbuffai una risata di scherno. «Più o meno?»
«Era tipo un regalo di benvenuto»
La mia risata scemò in un sorriso confuso. Io ero profondamente confusa. «Un regalo di benvenuto a cosa?
Cameron deglutì. «A casa», disse in fine. «Avrei dovuto dartelo prima, ma sono successe così tante cose, e nessun momento sembrava quello giusto.»
La curiosità mi pizzicò la gola e mi chiesi da quanto tempo lo avesse con sé.
«E questo lo è?»
«Non lo so.» Afferrò i manici della busta e me la porse allungando il braccio. C'era una sorta di distanza di sicurezza tra noi due, delimitata dalle due piazze del suo letto. «C'è uno scontrino di cortesia, ma non credo ti servirà a molto.»
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Under the same roof
Teen FictionCharlotte Reed, trasparente come l'acqua cristallina e drammatica come un'attrice di teatro, non è assolutamente pronta ai cambiamenti che le si paleseranno nel mezzo dei suoi diciassette anni. In particolar modo, non è preparata alla proposta di su...