L'ultimo degli affidabili

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Presi un bel respiro e sollevai lo sguardo. 

L'insegna del negozio, situato all'angolo della piccola stradina in cui mi trovavo con Jane e Cameron, prometteva: "Vernici e Colori per ogni progetto".

E quello, era l'ultimo posto in cui mi sarei aspettata di mettere piede dopo nemmeno due settimane dalla cena che aveva catapultato la mia esistenza nel modo degli incubi e messo a dura prova la mia sanità mentale.

Ero convinta che ci sarebbero voluti mesi prima di arrivare al fatidico momento, ma Jane stava facendo tutto troppo in fretta. Aveva già svuotato la mia futura camera dalle cianfrusaglie, chiesto un preventivo per rinfrescare le pareti di tutta la casa e recuperato un numero indefinito di cartoni con cui imballare la mia intera vita.
Avevo la percezione che i giorni in casa mia mi stessero sfuggendo dalle mani. Mi sentivo derubata, ed era quasi impossibile mostrarsi felici e contenti di un tale rapimento.

Davanti a lei e al suo entusiasmo, però, mi sforzavo di agire con un sorriso sulle labbra. Lo stesso che si trasformava immediatamente in una smorfia di disappunto in presenza dell'espressione compiaciuta di Cameron, ogni volta che lasciavo andare, fuori dalla visuale di sua madre, le mie reali emozioni.

Difatti, avevo adottato una nuova strategia per fuggire alla voglia di strappargli quell'aria da finto santarellino dalla faccia. Non gli rivolgevo neppure mezza occhiata. Niente di niente. Non mentre Jane ci osservava. Come in quell'esatto momento.

«Entriamo?» chiese più rivolta alla sottoscritta che a suo figlio.

Annuii e una volta attraversata la soglia, l'odore caratteristico della vernice mi invase le narici.

Nonostante la scarsa voglia di sottopormi a quel supplizio, mi guardai attorno. Dovevo ammetterlo, ero affascinata dal modo in cui erano stati organizzati gli scaffali che, seppur colmi di prodotti di ogni tipo, si trovavano in perfetto ordine.

Jane si allontanò con l'intenzione di chiamare uno dei commessi, io ne approfittai per girarmi verso suo figlio.

Cameron se ne stava fermo in prossimità del banco cassa, incantato dalla grande parete completamente dedicata alla palette di colori.

Mi avvicinai a lui, attratta come una calamita dalle centinaia di tonalità di cui non conoscevo neppure l'esistenza.

«Che ne dici di un bel blu?»

Girai il viso verso Cameron. «Blu, io?»

«Perché no. Ti dona. Soprattutto questa sfumatura.» Ne indicò una, poi abbassò gli occhi sulle mie scarpe. «Sembra quasi identica alla macchia.»

Gli sorrisi fintamente e sollevai la mano davanti ai suoi occhi, mostrandogli il dito medio.

Le iridi gli si illuminarono divertite, mentre le sue labbra s'incurvavano in un sorriso storto.

«Ragazzi.» Ci voltammo contemporaneamente verso Jane. «Avete già visto qualcosa che vi piace?»

Al suo fianco, con addosso un camice macchiato di vernice e un sorriso accogliente stampato sulla bocca, vi era uno degli addetti al negozio.

«Più o meno», dissi, e quella frase fu la mia rovina.

Ryan – o perlomeno questo era il nome inciso sulla sua targhetta – si mise al nostro completo servizio per la bellezza di quaranta minuti. Durante i quali mi persi nella mia stessa indecisione. Dacché, il semplice sguardo a ciò che avrei voluto, con cui ero stata attirata in quel negozio, sembrava essersi trasformato in una scelta da prendere: malva o viola?

Alla fine, più per evitare un esaurimento nervoso che per altro, dissi: «Questo malva va benissimo.»

In mezzo secondo, il commesso stampò un preventivo e lo mise tra le mani di Jane. Questa lo scrutò attentamente, poi si allontanò per fare una telefonata. Al suo ritorno, non stava nella pelle per l'emozione.

Under the same roofDove le storie prendono vita. Scoprilo ora