Cosa faresti per me? - Seconda parte.

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Il silenzio in cui era avvolta la cucina era così opprimente che sembrava soffocarmi.

Ogni respiro era carico di una pesantezza palpabile, e ogni rumore pareva essere amplificato.

Il tintinnio dei cucchiai all'interno delle tazze e il ronzio della macchinetta del caffè risuonavano nel vuoto in modo così assordante da riempire lo spazio circostante, ma non quello tra di noi.

Sembrava che il mondo fosse caduto sulle nostre spalle, schiacciandoci sotto macerie di bugie e omissioni. Era una sensazione quasi surreale, come se fossimo intrappolati in un'atmosfera funerea.

Eppure, oltre la fiducia, non era morto nessuno.

Il disagio era seduto insieme a noi, ma nessuno dei tre era capace di affrontarlo. Evitavamo il contatto visivo, ci muovevamo con una lentezza innaturale, non parlavamo.

La notte ci aveva sconvolti. Forse perché, alla luce del giorno, tutto ciò che avevamo scambiato per un incubo, era diventato più chiaro e reale di quanto sperassimo.

Era stato proprio mio padre, tornando all'alba, a renderlo ancora più vero. 

Lo avevo sentito arrivare così come avevo sentito, attraverso la parete comunicante delle nostre camere, la sua voce accostata a quella di Jane.

Avevano parlato un sacco, e in alcune occasioni i toni si erano accesi abbastanza da rendere chiaro sia il mio nome che quello di Cameron, eppure non ero riuscita a captare i loro discorsi.

Sapevo soltanto che, mezz'ora prima delle otto, lui se n'era andato di nuovo. E lo aveva fatto senza aprire la mia porta.

Non voleva parlarmi, questo era piuttosto palese, altrimenti non mi avrebbe trattata come se non fossi ancora tornata dalla California.

E io ero conscia che sarebbe stato più prudente aspettare che rincasasse dalla sua giornata lavorativa, anche solo per rispettare la volontà di tenermi a distanza, ma non riuscivo a ignorare la sensazione pungente di dover affrontare la situazione nell'immediato.

Una smania crescente all'interno del mio stomaco che si placò lievemente solo quando, rimasta completamente da sola, decisi di agire.

Una delle prime cose che feci fu chiamare Sandy e chiederle se e quando avrei potuto trovare mio padre libero dagli impegni lavorativi. Poi, dopo aver ottenuto la risposta che mi serviva, telefonai a Jessica.

Quest'ultima si presentò alla mia porta in meno di dieci minuti, nonostante i suoi sentimenti nei miei confronti non fossero per niente amorevoli.

«Sei da sola?» Mi chiese non appena mise piede dentro casa.

«Sì, sono tutti fuori.»

«Benissimo.» Espirò. «Tu non sei normale!» Mi puntò il dito contro. «Ti ho mandato cento messaggi. Cento. Li ho contati!» Ci tenne a precisare. «Per non parlare dei messaggi vocali che ti ho lasciato in segreteria. Non hai risposto a mezza cosa, e poi mi chiami come se niente fosse e dici che hai bisogno di me. Si può sapere cosa ti è successo?»

Ebbi solo il tempo di schiudere le labbra e pronunciare: «Io...»

«Tu cosa? Hai idea di quanto mi sia preoccupata? Ho pensato agli scenari peggiori del mondo. Un rapimento, un omicidio...»

Inarcai un sopracciglio. «Hai finito?»

«No, che non ho finito! Nemmeno quello stronzo di Cameron si è degnato di scrivermi. Prima mi ha convinta a starmene a casa, e poi mi ha ripagata con il silen-»

«Mio padre sa tutto.»

Bastarono quattro parole a zittirla completamente.

Gli occhi furono sul punto di schizzarle via dalle orbite, l'espressione di puro sgomento dipinta sul viso. «Che cosa?» Il malumore nei miei confronti sfumò sotto al mio sguardo. «Cosa significa tutto? Tutto... tutto?»

Under the same roofDove le storie prendono vita. Scoprilo ora