La dissonanza della verità

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Lo schermo del mio cellulare s'illuminò in mezzo ai vestiti posti sul letto, iniziando a vibrare due volte di troppo per poter associare il rumore alla semplice notifica di un messaggio.

Spostai la t-shirt bianca che lo copriva e le spalle mi si drizzarono non appena lessi il nome. Provai a incamerare aria, ma fu inutile. Sembrava che qualcuno me la stesse rubando da sotto al naso.

Lucy, probabilmente colpita dalla mia reazione, si sporse oltre il bordo del materasso, inclinando il viso in modo da vedere nitidamente il mittente. Poi, con uno scatto del mento, i suoi occhi s'incollarono ai miei. «Idiota sarebbe Cameron?»

Le risposi muovendo il capo. E lei alternò nuovamente lo sguardo dal telefono al mio volto. «E non vuoi rispondergli?»

«No», mormorai, afferrando un maglione dalla pila di indumenti che avevo poggiato sul suo letto.

Lei schiuse le labbra, serrandole un attimo dopo. Era evidente che volesse dire qualcosa, ma preferii non chiederle niente.

La notte precedente mi ero impegnata a non sabotarle il capodanno con i miei drammi. Ero rimasta chiusa in bagnò finché non era venuta a cercarmi, ma allora avevo già smesso di crogiolarmi in modo evidente, ed ero riuscita a dare la colpa del mio aspetto ai tre malibu che avevo riversato nel water. La verità, però, era un'altra. Avevo pianto così tanto da non sapere se ciò che avevo vomitato fossero i miei sentimenti o l'alcol che avevo bevuto senza remore.

Le avevo confessato tutto solo una volta tornate a casa, sotto le coperte, mentre le davo la schiena e fissavo il buio. Lei si era voltata mormorando un «Passerà» che mi aveva messo in subbuglio lo stomaco, poi mi aveva stretta tra le sue braccia in un silenzio che rispettava i miei sentimenti. Dal nostro risveglio l'argomento non era più stato menzionato.

Il mio cellulare smise di vibrare, ma non ci volle molto prima che Cameron tentasse una seconda telefonata.

«Charlie.» Lucy richiamò la mia attenzione. «Devi rispondergli.»

Scossi la testa. «Non ho niente da dirgli.»

«Quindi è così? Lascerai il mondo com'è solo per una telefonata?»

Non la guardai. Presi un secondo maglione e lo ripiegai nuovamente, posizionandolo dentro la valigia. «Sì.» Feci pressione con le mani sui vestiti, schiacciandoli così da ricavare altro spazio. «Non parliamone più, per favore.»

«Loty...» cantilenò, espirando come se non sapesse più dove sbattersi la testa.

«Cosa?» le braccia mi si afflosciarono giù con una certa esasperazione. Non era da lei vessarmi in quel modo.

Lucy era sempre stata in grado di aspettare che fossi pronta a esprimermi, per cui non riuscivo a capire per quale motivo continuasse a tormentarmi sulla "questione Cameron".

«Cosa?» Mi fece eco. «Non vuoi parlargli sulla base di una telefonata e delle tue conclusioni. Potrebbe anche esserci una spiegazione, magari hai solo pensato al peggio o...-»

Mi uscii fuori una risatina derisoria. Io non avevo pensato al peggio. Il peggio si era palesato e basta. «Una ragazza di cui non conosco la voce ha risposto al suo cellulare alle tre del mattino, parlando in sussurri pur di non svegliarlo. E io non sono così stupida da credere che possa esistere conclusione diversa dall'esserci andato a letto.»

«Dovresti dargli il beneficio del dubbio. Ha provato a chiamarti per ben due volte. Dovrà significare qualcosa, no?»

«Certo!» affermai con ardore. «Significa che muore dalla voglia di sapere perché ha ricevuto una mia telefonata a quell'ora.» Infilai gli ultimi vestiti all'interno della valigia. «Non lo sento da quando sono arrivata qui. Ieri sono riuscita a vederlo per cinque miseri minuti solo grazie alla videochiamata con papà, e lui se n'è uscito dicendo che non ha nulla da perdere. Bene...» Chiusi il bagaglio con forza, tirando la zip come se non m'importasse di romperla. «Adesso siamo pari. Nemmeno io ho niente da perdere.»

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