Corpo pesante, ossa indolenzite, testa da tutt'altra parte: non era così che immaginavo il mio appuntamento con Simon.
Eppure, seduta sugli spalti bianchi della piscina in cui si teneva la gara, io pensavo solo una cosa: Cameron aveva ragione, il trasloco mi aveva sfiancata; emotivamente e fisicamente.
Vedere papà chiudere per l'ultima volta la porta di casa aveva annullato ogni genere di preparazione mentale, a cui era stata sostituita una pesante dose di trepidante agitazione. Ero preoccupata, non sapevo cosa aspettarmi da quella convivenza, paurosa di mischiare e cambiare le mie abitudini, di continuare a sentirmi un'ospite.
Nemmeno Jessica, in videochiamata, era riuscita a mantenere saldi i miei nervi, che uno dopo l'altro saltavano via. Ero così esasperata che ogni minima cosa diventava un dramma, compresa una gonna di jeans nera che non riuscivo a trovare. «Annullo tutto!», avevo detto alla mia migliore amica con assoluta convinzione. «È da mezz'ora che faccio Dora l'esploratrice!».
Ricevetti così tante minacce da Jessica, tra cui quella di uscire dal telefono per strangolarmi personalmente, che alla fine decisi di prendere un bel respiro, inalando il leggero odore di pittura che persisteva nella mia nuova camera, e calmarmi seriamente.
Mi sentii presa in giro dall'intero universo quando, ad un palmo dal mio naso, appallottolata in mezzo ad altri vestiti sul mio letto ancora privo di lenzuola, ritrovai la gonna perduta.
Non avevo più scuse.
A dispetto delle ipotesi fatte con Jessica, Simon non si presentò alla porta, né scese dalla sua auto; mi avvisò del suo arrivo con un messaggio: "Sono qui fuori".
Parcheggiò anche piuttosto distante dal cancello della mia abitazione e pensai che il motivo di tanta riservatezza fosse per il timore di incontrare mio padre o per il fastidio di vedere Cameron, poiché era convinto di non andargli a genio.
Le due persone citate, però, non erano in casa ed io ringraziai il cielo e tutti i santi per questa grazia. Papà dava per scontato che uscissi con Jessica e non ero pronta alla curiosità di Cameron. Anzi, se avessi potuto, e non potevo, lo avrei evitato come la peste. Non aveva senso, lo sapevo, ma i pensieri che mi si insinuavano in certe occasione, quando stavo insieme a lui, mi confondevano.
Sobbalzai quando la voce del telecronista riecheggiò forte e chiara all'interno del capannone. Parlò delle associazioni che avevano finanziato quella gara mentre i nuotatori iniziavano a salire sui blocchi azzurri situati a bordo vasca. Mi ritrovai ad abbassare gli angoli della bocca in una chiara approvazione del fisico snello ma ben definito di Simon Parker, coperto solo da uno slip azzurrino con delle linee bianche ai lati dei fianchi. Se ci fosse stata Jessica, gli apprezzamenti sarebbero sfociati in battute a sfondo erotico, ne ero più che sicura.
Al suono della tromba, contemporaneamente, tutti i partecipanti si tuffarono in acqua. Riuscii a vedere Simon riemergere in superficie e, nonostante la mia scarsa, quasi inesistente, passione per lo sport, mi ritrovai a seguire e ascoltare con attenzione tutta la competizione, soffermandomi sullo stile di ogni partecipante per poi ritornare a guardare il numero cinque, Parker.
Simon arrivò secondo. Era stanco ma visibilmente soddisfatto del suo traguardo.
Rimasi ad aspettarlo seduta sugli spalti, osservando la calca di persone già in piedi spintonarsi e chiedere permesso per uscire velocemente da quel posto.
Rimasta da sola nella mia fila, puntai gli occhi sulla piscina: sembrava così limpida, tranquilla, da infondermi un senso calma interiore.
Jeans a sigaretta in denim slavato, camicia da boscaiolo a quadri bianchi e neri, Parker alzò la mano verso di me e mi alzai per raggiungerlo.
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Under the same roof
Teen FictionCharlotte Reed, trasparente come l'acqua cristallina e drammatica come un'attrice di teatro, non è assolutamente pronta ai cambiamenti che le si paleseranno nel mezzo dei suoi diciassette anni. In particolar modo, non è preparata alla proposta di su...