capitolo 29

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Spencer's point of view

Aprii gli occhi ed ero in ospedale. Conoscevo quei luoghi fin troppo bene, non solo per Evelyn ma anche per mia madre che, a causa della sua schizofrenia, spesso ci finiva senza che io potessi fare nulla. Se non guardare da una sedia aspettando che si riprendesse.

Gli ospedali mi sono sempre sembrati dei posti strani. Degli edifici, uguali ovunque tu vada, con pareti bianche e le sedie scomode, giusto per creare un atmosfera di gioia. Negli ospedali le vite delle persone cambiano, alcune in meglio mentre altre in peggio.Ma pur sempre cambiano. Io da lì sarei uscito cambiato, aver lottato per la mia vita mi aveva fatto capire molte cose.

Evelyn si era addormentata sulla sedia, era davvero bella. Anche quando dormiva, anche da appena sveglia ma soprattutto quando sorrideva. Quando sorrideva sentivo il mio cuore sciogliersi, non che fosse scientificamente possibile ma mi sentivo esattamente in quel modo. Poi in particolare quando sapevo che il sorriso fosse rivolto a me mi sembrava che si fermasse direttamente.

Ricordavo poche cose della sera precedente, ricordavo solo di essere stato drogato e che la droga avesse tirato fuori un lato mio irrazionale e violento. O almeno, diedi la colpa alla droga per non accettare il fatto di aver spaventato Evelyn in un momento di coscienza.

<<bel ragazzo!>> Derek entrò nella stanza seguito da Garcia che non appena mi vide corse ad abbracciarmi, quella donna era un uragano di allegria. Se non ci fosse stata lei il nostro lavoro sarebbe stato decisamente più duro e cupo.

<<è bello vederti>> si avvicinò a me anche Derek, il quale reputavo come un fratello maggiore, scompigliandomi i capelli con un gesto affettuoso.

Nel frattempo Evelyn si svegliò e con la faccia ancora assonnata si mise in piedi di scatto. Si precipitò verso di me stringendomi in un forte abbraccio ma allo stesso momento facendo attenzione a non appoggiarsi a me,probabilmente per paura di farmi male.

Eppure sentivo che in lei c'era qualcosa di strano, fin troppo strano. Era più fredda del solito e lo si percepiva non solo dai suoi atteggiamenti, anche dai suoi occhi e della sua voce. Era come se lei fosse da un'altra parte, la sentivo distante da me.

Decisi di non far parlare il mio lato da profiler e di fare finta di nulla. Se aveva qualcosa che non andava sarebbe saltato fuori e appena si sarebbe sentita pronta a parlarne l'avrebbe fatto. Non volevo sforzarla.

JJ entrò nella stanza con in braccio il mio figlioccio Henry, erano passati mesi da quando lo avevo visto per l'ultima volta. Per un motivo o per l'altro avevo sempre da fare e mi sembrava cresciuto parecchio. Era un bambino davvero spettacolare e molto intelligente per la sua età, chissà se un giorno sarei diventato pure io padre.

Passavo giornate a fantasticare sull' avere una mia famiglia e onestamente non c'era nulla che desiderassi di più. Essere padre doveva essere fantastico.

<<guarda chi ti ho portato>>JJ mise a terra il bambino che corse verso di me arrampicandosi al lettino per salire al mio fianco. Gli feci un po' di spazio dedicandogli un sorriso pieno di gioia.

<<e lei chi è?>> spostò lo sguardo su Evelyn che immediatamente arrossì porgendogli la mano per presentarsi

<<è la tua fidanzatina?>> chiese immediatamente Henry senza farsi problemi nel creare una situazione di imbarazzo. I bambini erano spontanei e agivano senza pensare.

Freud diceva che quando nasciamo siamo tutti identici, siamo bambini uguali che crescendo iniziano a sviluppare, in base alle regole e all'educazione imposta,una propria identità. In quel momento mi trovai d'accordo con lui. Solamente un bambino avrebbe potuto fare una domanda del genere senza porsi alcun tipo di preoccupazione.

<<non proprio>> dissi schiarendomi la gola per l'imbarazzo <<però ti piace?>>

la situazione stava diventando davvero fin troppo imbarazzante. chiesi aiuto con lo sguardo a JJ che capì immediatamente la situazione, infatti lo portò via dalla stanza con una scusa fin troppo banale.

Evelyn rimase in silenzio per dieci minuti. Non era da lei stare zitta, aveva sempre qualcosa da dire quando eravamo insieme e a me piaceva ascoltarla. La avrei ascoltata per ore senza annoiarmi.

<<va tutto bene?>> lei alzò gli occhi da terra posandoli su di me, erano spenti. Privi di qualsiasi tipo di emozione positiva, erano un tornado di sofferenza. L'ultima volta che l'avevo vista con quegli occhi era stato quando l'avevamo trovata nella casa.

<<Spence credo che dobbiamo parlare>> il mio cuore iniziò a tremare, così come le mie gambe. Deglutii rumorosamente facendole cenno di parlare, avevo una brutta sensazione.

E raramente il mio intuito sbagliava.

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