Capitolo Sei - Famiglia

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Ho detto (non posso spiegare)
Mi sento bene ora, si, ma (non riesco a spiegare)
Vertigini in testa e mi sento triste
Le cose che hai detto, beh, forse sono vere

I Can’t Explain – The Who

Un vento fresco e piacevole mi accarezzava il viso, accompagnando il dondolio dell’altalena sulla quale ero seduta.

Davanti a me, oltre il giardino ben curato, si scorgeva la spiaggetta e la grande distesa d’acqua.

Ero nella villa di famiglia a Termini Imerese e cercavo di godermi quell’aria di casa che trasudava tranquillità.

Nell’ultimo periodo raramente mi ero concessa dei momenti di calma. Avevo preferito immergermi totalmente nella SYS, nelle azioni sul campo, nel mio nuovo lavoro al giornale. Perché, quando tenevo il corpo impegnato, riuscivo a chiudere i pensieri in un angolo in fondo al cervello. Quando mi fermavo riaffioravano prepotenti, perforandomi la mente come lame.

Se avessi voluto ucciderla, sarebbe morta.

Avrei voluto cancellare quelle parole dalla memoria. Invece non facevo altro che rimuginarci sopra, con una costanza esasperante.

È un bugiardo manipolatore, mi ripetevo in continuazione per convincermene.

Una parte minuscola e profonda di me, però, voleva credergli.

Che stupida! inveii contro me stessa. Cosa cambierebbe?

«Ti sei seduta sulla mia altalena.» La voce di Emily interruppe quei pensieri.

«Oh, perdona la mia insolenza» risposi con ironia. «La tua mi è sempre piaciuta di più.»

Si sedette su quella accanto. «Perché la tua era sempre distrutta» puntualizzò.

Un sorriso spontaneo incurvò le mie labbra. Ero sempre stata molto vivace. Da bambina avevo l’abitudine di salire in piedi sull’altalena e farla arrivare più in alto possibile: mi dava la sensazione di volare.

Osservai mia sorella, la frangetta svolazzava al vento, il suo sguardo era luminoso e perso verso l’orizzonte.

«Mi è mancato terribilmente» sussurrò.

Abbassai lo sguardo ed ebbi la sensazione che qualcuno stesse tenendo il mio cuore serrato in un pugno.

Le ha portato via tutto. Ed è stata solo colpa mia.

Il familiare senso di colpa per aver portato Adriano nelle nostre vite non voleva saperne di abbandonarmi. E io lasciavo che mi cullasse come una ninna nanna, che mi rammentasse frequentemente quanto fossi stata debole e quanto dovessi rimediare.

Sentii gli occhi di Emily che mi ispezionavano, ma non mi voltai verso di lei.

«Cosa vuoi fare?» Quella domanda a bruciapelo mi scosse.

Esitai un istante. «Cosa intendi?» Posai lo sguardo sul mare, fingendo di non aver capito a cosa si riferisse.

«Lo sai, Lara» continuò lei con quel tono sicuro, ma allo stesso tempo morbido. «Non possiamo tenerlo in cantina per sempre. Dobbiamo capire come risolvere questa questione.»

La “questione” era lui. E io sapevo che dovevamo trovare un modo per risolverla, ma avevo deciso di non soffermarmi su quel problema.

Puntualmente qualcuno tirava fuori l’argomento e io sgattaiolavo con una certa maestria.

Anche perché non avevo idea di cosa fare. Non potevamo riconsegnarlo alla polizia, visto che la giustizia lo aveva scarcerato dopo soli cinque anni, e non avevo alcuna intenzione di lasciarlo libero. Dovevamo carpire qualunque informazione utile da lui, ma si ostinava a voler parlare solo con me e io mi rifiutavo, ancora e ancora. Non c’era soluzione.

SYS 2 - La società degli splendenti. il ritorno Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora