Capitolo Diciassette - Primo Incontri

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I miei occhi ti hanno visto
i miei occhi ti hanno visto
Gli occhi ti hanno visto,
lascia che fotografino la tua anima

My eyes have seen you - The Doors

20 marzo 2012

Ma cosa mi era passato per la testa?

Dovevo solo spiare quella ragazza, capire chi fosse e cosa facesse, invece quella mattina, dopo averla seguita fino in cima a Monte Pellegrino, mi ero esposto, le avevo addirittura parlato.

Non avevo mancato di notare che, come me, aveva scelto quel posto per rifugiarsi. Forse era stato quello a spingermi verso di lei.

E adesso, in piedi dietro la sedia di mio padre, non riuscivo a smettere di pensare a ogni parola che ci eravamo scambiati. A ogni frecciatina lanciata, al luccichio nei suoi occhi, ma, soprattutto, alla sua mancanza di paura. Era stata diffidente, vigile, non mi aveva dato le spalle neanche una volta, ma non avevo visto un briciolo di quel terrore che nasceva in chiunque quando i Mersiglia erano nelle vicinanze.

Mio fratello si schiarì la gola, riportandomi al presente.

Guardai tutti e, faticando a far entrare aria nei polmoni, decisi che quella sarebbe stata la prima e anche l'ultima riunione indetta da me lì dentro.

Ero, inspiegabilmente, incensurato, quindi non dovevo nascondermi come un topo come aveva fatto mio padre. Avrei parlato anche di questo agli scagnozzi che aspettavano un mio ordine per sedersi intorno al tavolo.

Cercai di rinchiudere in una cassaforte nel mio cervello il pensiero di quella ragazza fuori dal comune e mi accomodai al mio posto.

Mio.

Mi stava stretto quell'aggettivo e dovetti farmi forza per non muovermi a disagio sulla sedia.

«Sedetevi» ordinai con un tono freddo e distaccato.

Prima avrei iniziato, prima sarebbe finita.

Obbedirono subito, come bravi soldatini.

«Non ci girerò troppo intorno» iniziai, incrociando le mani sul tavolo. «Sapete tutti che mio padre è stato arrestato e non abbiamo notizie su quanto tempo rimarrà in carcere.»

Probabilmente per sempre, l'avvocato era stato chiaro: non c'era molto da fare, dovevano solo sperare che non lo mettessero al 41bis.

Anche se io, in cuor mio, avevo proprio la speranza opposta. Almeno con un regime carcerario più duro avrebbe iniziato ad avere meno potere.

Per ovvie ragioni tenni quei pensieri per me e continuai con quella brutta recita. «Fino a quando la situazione rimarrà questa, io prenderò il suo posto.»

Tacqui per qualche secondo e aspettai così che l'informazione arrivasse chiara a ognuno di loro.

«Francesco» ripresi, senza però degnare di uno sguardo mio fratello, seduto alla mia destra. «Sarà il mio braccio destro, così come lo è stato per nostro padre.»

«Seguiremo voi come abbiamo seguito lui.» Salvo parlò senza essere interpellato, facendo guizzare il muscolo della mia mascella.

Francesco gli diede una pacca sulla spalla, io invece lo fulminai con lo sguardo.

«Non stavamo chiedendo il vostro consenso, Salvo, vi stavamo semplicemente informando.»

Il colorito abbronzato di Salvo sparì di colpo, lasciando il posto a uno più simile alle pareti bianche che ci circondavano.

Ebbi la sensazione che tutti stessero trattenendo il respiro.

Percepii il potere come se fosse qualcosa di concreto che entrava dentro le mie vene, mischiandosi al sangue.

Mi sentii sporco, infetto da una malattia incurabile. Ma la parte di me cresciuta in quel mondo, quella che era dentro la merda fino al collo mi parlava con una voce suadente. Mi diceva di arrendermi al volere di mio padre, di non farlo solo per mia madre, per mia sorella, ma di godere appieno di ciò che quel potere poteva darmi.

"Però penso che i soldi del papino per i viaggi e la scuola privata li prendevi comunque, e probabilmente continui a prenderli. O sbaglio?"

Le parole di quella ragazza, il disprezzo con cui le aveva pronunciate, arrivarono nella mia mente come un terremoto. Abbatterono le fondamenta della casa che aveva creato mio padre, quella in cui mi aveva rinchiuso da quando ero bambino.

Era come se lo sdegno di lei mi avesse marchiato. Le avevo mentito, dicendole di non avere niente a che fare con mio padre, perché mi vergognavo della verità. Le avevo raccontato vicende personali, mischiando verità e bugie, senza riuscire a frenarmi. Non ero solito aprirmi con nessuno, infatti farlo così spontaneamente mi aveva lasciato scosso. Lei mi aveva lasciato scombussolato.

Scossi la testa una volta, imponendomi di tornare attento. «Sperando che nessun altro abbia ulteriori cazzate da comunicarci, direi che questa è la nostra ultima riunione qui.» Lasciai che il mio sguardo nauseato vagasse per lo spazio angusto. «Dobbiamo far capire a tutti che il clan dei Mersiglia non ha paura degli sbirri e non si nasconde, anzi si riunisce alla luce del sole, perché la città è nostra, ci appartiene.»

Il pizzicore che sentivo alla lingua aumentava a ogni sillaba che pronunciavo.

Pensai a Peppino Impastato, ci pensavo spesso quando mi trovavo in situazioni simili. Come se il suo spettro mi perseguitasse, ricordandomi che io non avrei mai avuto il suo coraggio, che mi ero arreso.

«Francesco si occuperà di trovare un luogo per le nostre riunioni.» Così lo avrei tenuto ben occupato e lontano da me almeno per qualche giorno. «Voi continuerete a svolgere il ruolo che vi ha dato mio padre, a meno che io non vi ordini diversamente.» Li guardai uno per uno, assicurandomi che il concetto fosse arrivato chiaro. «Per oggi può bastare.»

Mi alzai per primo. Salii gli scalini e bussai una volta sulla botola, che si aprì subito dopo.

Non mi degnai neanche di dare un cenno di saluto al ragazzo che mi aprì. Mi avviai subito fuori, godendo a pieni polmoni dell'aria della sera.

Mentre andavo verso la macchina, pensai a quanto mi sarebbe piaciuto vivere nelle menzogne che avevo detto a Lara.

Vivere una vita nella quale mio padre mi aveva lasciato la scelta di stare lontano da lui e dai suoi traffici.

Una vita nella quale avevo avuto il coraggio di ribellarmi.

Spazio autrice ✨

Ciao readers del mio cuore 💙

Ecco qui che vediamo come reagisce Adriano dopo aver visto Lara per la prima volta 😏

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Ci vediamo giovedì con SYS 😎

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