Capitolo Venticinque - Rifugio

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Voglio essere un brav'uomo e vederti sorridere
E voglio nuotare tra le tue cosce
Voglio fotterti finché non urli e piangi
Voglio tenerti tra le mie braccia stasera
Per il tuo amore farò quello che vuoi
Per il tuo amore farò quello che vuoi
Farò quello che vuoi, per il tuo amore

For Your Love - Måneskin

21 maggio 2012

Le mie mani, macchiate ancora di sangue, stringevano il marmo del lavandino talmente forte da sentire dolore.

Tenevo la testa piegata verso il basso, gli occhi serrati. La mia schiena nuda era ricurva perché quel peso stava diventando insostenibile.

Avrei dovuto essermi abituato ormai, andavo avanti così da anni. Invece, nell'ultimo periodo sembrava che fosse sempre peggio. Il mio corpo reagiva come se dovesse dimostrarmi che ripugnava le mie azioni.

Fallo tu, io non riesco.

Le parole di Francesco mi risuonavano in testa. Mio fratello, un assassino spietato, non era riuscito a torturare quell'uomo.

Aveva smesso di proposito di mancarmi di rispetto davanti agli altri, ma mi manifestava il suo disprezzo in altri modi.

Quel giorno, però, aveva superato il limite. Aveva finto disgusto nel torturare, ma nei suoi occhi avevo potuto vedere la scintilla della sfida. Voleva che lo facessi io, voleva mettermi alla prova davanti a Salvo e Antonio.

Aveva addirittura rischiato di apparire debole, solo per dimostrare che non ero altezza, che non ero abbastanza crudele e spietato come tutti gli altri. E io non avevo avuto scelta.

C'è sempre una scelta.

Il coraggio dovevo trovarlo dentro di me, non potevo nascondermi dietro la gonna di mia madre. E io quel coraggio non lo avevo, forse non lo avevo mai avuto. Ero un codardo che cercava scuse per i suoi atti ignobili, ma non esisteva una giustificazione abbastanza forte.

Avevo dovuto farlo, avevo dovuto infilzare la lama del mio pugnale più e più volte nelle cosce dell'uomo, del traditore. Eravamo circondati da traditori. Io stesso ero il primo traditore che si aggirava in quella cerchia infernale.

Io, che li odiavo quasi quanto odiavo me stesso. Io che, se avessi potuto, li avrei abbandonati e sarei scappato via, lontano da tutto quello schifo. Io, che mi ero innamorato di una ragazza che combatteva giornalmente la merda di cui facevo parte.

Innamorato.

Era la prima volta che quel pensiero si insinuava nella mia testa così prepotentemente. Era la prima volta nella mia vita che nutrivo un sentimento così forte, così totale.

Mi sembrava impossibile riuscire a provare qualcosa di così intenso per un'altra persona, in così poco tempo, poi.

Il mio respiro iniziò pian piano a tornare regolare, la stretta delle mani diminuì. Il solo pensarla mi calmava, mi rilassava.

Era la medicina per la mia anima malata, era il coraggio che mi mancava per uscire dallo schifo nel quale vivevo. Era la luce che illuminava la mia anima oscura.

Mezzo sorriso mi incurvò le labbra. Solo allora aprii gli occhi, alzai la testa e mi guardai nello specchio sopra il lavabo.

Le occhiaie erano nere quasi quanto le mie iridi, la stanchezza era palese. Avrei voluto dormire per giorni e giorni. Non svegliarmi più.

Aprii il rubinetto e lasciai scorrere l'acqua per qualche secondo, poi affondai le mani nel getto beandomi di quella freschezza.

Il caldo era finalmente arrivato a Palermo, e forse ero l'unica persona in città a non lamentarsene. Amavo quel calore, riusciva a sciogliere la lastra di ghiaccio nel mio petto.

SYS 2 - La società degli splendenti. il ritorno Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora