Capitolo Ventidue - Ferite

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Portami a casa in un sogno accecante
Attraverso i segreti che ho visto
Lava il dolore dalla mia pelle
Mostrami come essere di nuovo integro
Perché sono solo una crepa in questo castello di vetro

Castle of Glass - Linkin Park

Sentivo la testa pulsare, vedevo solo piccole luci bianche che riempivano il nero dietro i miei occhi chiusi.

Un borbottio di voci arrivò alle mie orecchie. Erano voci familiari, non riuscivo però a distinguere le parole.

Pian piano ripresi coscienza di ogni muscolo del mio corpo e una fitta lancinante mi attraversò il braccio.

Provai a parlare, ma avevo la gola secca e quello che uscì fu solo un grugnito.

«È sveglia.» Era una voce più vicina e distinta.

Aprii piano le palpebre e, a fatica, cercai di mettere a fuoco.

Le iridi azzurre di Luna mi guardavano con apprensione.

«Cosa è tutta questa confusione?» borbottai, tentando di sollevarmi sui gomiti. Ero su un lettino rialzato tra la postazione dei gemelli e il ring.

Non ero in ospedale. Ero alla base.

Questa consapevolezza mi fece tirare un sospiro di sollievo. Non potevamo permetterci che ci facessero domande, che avvisassero la polizia.

«Vedo che il tuo buon umore è tornato.» La voce sarcastica di Stephan fu come un balsamo.

«Cosa è successo?» Provai a scendere, ma un capogiro mi prese alla sprovvista e chiusi gli occhi.

Due mani forti mi bloccarono le braccia.

«Non è il caso che tu scenda, non sei ancora abbastanza in forze.» Il tono, spruzzato di accento americano, era dolce ma allo stesso tempo autoritario.

Sollevai gli occhi sul compagno di mia sorella. Evidentemente avevano chiamato lui per medicarmi.

«È grave?» chiesi in una smorfia tornando a distendermi.

«No, il proiettile ti ha presa solo di striscio, ma hai perso molto sangue.» Si spostò alla mia destra e cominciò a levare la fasciatura al mio braccio per controllare la ferita.

Rimasi ipnotizzata a guardare la garza che si allentava sempre di più. Il taglio che si presentò era rosso, netto e profondo. Si vedevano i punti che probabilmente mi aveva messo mentre non ero cosciente.

«Ora lo disinfetto di nuovo e poi lo bendo. Era meglio andare in ospedale.» Spostò lo sguardo da me a Emily, che proprio in quel momento si stava avvicinando.

«Siamo ancora in tempo» disse mia sorella guardando me.

Alzai la mano. «Assolutamente no, avete fatto bene. Non possiamo farci scoprire, adesso più di prima.» Strinsi i denti per il dolore, presi un lungo respiro e continuai: «Il figlio del capo della polizia ci sta addosso, non diamogli altri motivi per indagare oltre.»

Mi voltai verso John, sperando che cogliesse la richiesta silenziosa nel mio sguardo.

Lui annuì, cedendo alle mie lamentele. «Devi stare a riposo fino a quando la ferita non sarà guarita del tutto» intimò riprendendo a fasciare. «Niente lavoro...» Lasciò la frase in sospeso, finì di medicare e puntò i suoi occhi nei miei. «Nessun tipo di lavoro.»

«Quanto ci vorrà?» chiesi, sentendo il nervosismo crescere sottopelle.

«Due settimane almeno» mi informò senza esitazione.

SYS 2 - La società degli splendenti. il ritorno Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora