Fai una piccola passeggiata fino alla periferia della città
E attraversa i binari, dove incombe il viadotto
Come un uccello del destino, mentre si sposta e si spezza
Dove i segreti giacciono negli incendi di confine, nei fili ronzanti
Hey amico, lo sai, non tornerai mai più
In una tempesta in arrivo
Viene un bell’uomo, in un cappotto nero polveroso
Una mano destra rossa, ti avvolgerà tra le sue bracciaRed Right Hand - Nick Cave & The Bad Seeds
7 febbraio 2012
L’oscurità della notte ci accompagnava, mentre avanzavamo lungo la strada deserta. Il cielo era nero come una pozza profonda, privo di stelle. C’era una brezza fredda che sferzava il viso.
Le macchine posteggiate ai lati della via erano ricoperte da una patina di un bianco sbiadito, l’umidità appannava i vetri e piccole goccioline scivolavano sui parabrezza.
Sembrava che l’atmosfera che si respirava si fosse trasformata proprio per accompagnare il nostro cammino. Avevo come la sensazione che ci stessimo inoltrando dritti all’inferno. Ma forse ero l’unico a sentirmi così.
Quando girai per il vicolo, la tenue luce di un lampione illuminò le nostre figure alte e decise.
Io aprivo la fila, al centro. Dovevo abituarmi a quel posto di comando che mi stava stretto. Mi sentivo come se avessi un cappio al collo e, da un momento all’altro, mio padre dovesse aprire la botola sotto i miei piedi per farmi morire.
Avevo la schiena rigida, così tanto da sentire quasi dolore.
Francesco camminava alla mia destra e Antonio alla mia sinistra, entrambi erano distanti di pochi passi. Salvo mi copriva le spalle. Qualsiasi dettaglio doveva far capire che ero io al comando, che ero io il mandante – anche se era stato mio padre a dare l’ordine.
Mio fratello era l’arma nella mia mano destra: al mio segnale, lui doveva premere il grilletto.
L’uomo in fondo al vicolo era la nostra preda.
Tremava, tenuto dalle braccia da altri due scagnozzi di Giuseppe Mersiglia. O meglio, miei.
Non mi sarei mai abituato a quella condizione, non la volevo. Ogni fibra del mio corpo mi implorava di scappare via lontano.
Invece rimanevo lì, a decidere le sorti di un essere umano.
La sua fine l’ha già decisa Giuseppe Mersiglia. Mi giustificai.
Ma sapevo che per un giudice sarei stato colpevole esattamente quanto mio padre. Stavamo per porre fine alla vita di una persona che aveva una famiglia, dei figli, una moglie dai quali non sarebbe mai tornato.
Continuare a ripetere che lo facevo per mia madre e mia sorella non funzionava più, o forse non aveva mai funzionato. Quello che facevo era terribile e qualunque scusante, anche la più valida, non era mai abbastanza. Sicuramente la mia coscienza mi stava già punendo e mi preparavo alle notti insonni che sarebbero arrivate.
Bene. Me lo merito.
Mi fermai, il cappotto svolazzava spinto dal vento.
L’uomo aveva un occhio gonfio, il labbro spaccato.
La sua colpa era aver tradito mio padre. Era passato a un clan rivale. L’avviso che mio padre mi aveva costretto a lasciare all’ultimo traditore non aveva spaventato abbastanza quest’altro.
Dunque, quella volta un avviso non bastava.
Dovevamo farlo fuori.
Lo guardai per qualche istante, il mio viso era imperscrutabile, mentre dentro mi infiammava un fuoco di rabbia. Lui posò lo sguardo su di me, poi su Francesco e, a quel punto, iniziò a dimenarsi tra le mani dei due uomini che lo stavano tenendo.
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SYS 2 - La società degli splendenti. il ritorno
ChickLitCosa accadrebbe se il figlio di un boss mafioso fosse attratto irrimediabilmente da una ragazza decisa a estirpare la mafia dalla sua città? Palermo, 2012. Adriano è un ragazzo cresciuto nell'odio e nella violenza. Compie atti terribili sotto il com...