Capitolo Sette - Sensi Di Colpa

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Nessuna via d'uscita
Devo andarmene un po' più in fretta
Correte piccoli bastardi
Correte piccoli bastardi
Falsi amici dappertutto
Loro mi guardano mentre affogo
Nessuno è lì per aiutarmi

Little Bastards - Palaye Royale


25 dicembre 2011

Due occhi verdi terrorizzati mi guardavano, implorando pietà.

Il mio braccio scendeva sull'uomo, deciso, senza timore. Il sangue schizzava sul mio viso, trasformato in una maschera di pura cattiveria.

Sollevai la testa dal cuscino di scatto, spalancando gli occhi nell'oscurità della mia stanza. Avevo il respiro affannoso, il cuore martellava in mezzo le costole, la fronte era imperlata di sudore freddo.

Quell'incubo mi perseguitava da più di un mese.

Era sempre così. Ogni volta che facevo un lavoro per mio padre, la mia mente mi puniva.

Mi spostai al lato del letto, poggiando i piedi sul pavimento freddo. Posai i gomiti sulle ginocchia e affondai il viso nei palmi.

I volti delle persone che negli anni avevo torturato si univano e si confondevano tra loro, ma non avevo dimenticato un singolo nome, un singolo gesto.

Di tanto in tanto me li ripetevo, da bravo masochista, per ricordarmi che razza di uomo ero diventato.

Sollevai il viso verso la sveglia: erano le sei del mattino.

Mi domandai come facessero gli altri, come facesse mio fratello Francesco, a commettere quegli atti terribili e dormire tranquillamente la notte. A essere in pace con se stesso.

Non sono migliore di loro. Mi ricordai, serrando la mascella.

Era inutile sentirsi superiore, ormai avevo ceduto e mi ero abbassato al loro livello.

Non avevo via di scampo.

Ero un Mersiglia.

Se un tempo mi ero illuso di poter scappare da quel maledetto nome, adesso sapevo che non c'era modo per uscirne.

Ero un delinquente e lo sarei stato per tutta la vita. Una vita che non meritava di essere definita tale, perché era un inferno. Io ero un diavolo che seminava dolore e distruzione. Per quanto i sensi di colpa per le mie azioni non mi facessero dormire la notte, ciò non cambiava quello che ero.

L'unica differenza tra me e mio padre era che i miei fantasmi mi perseguitavano, mentre i suoi lo temevano. Lui li aveva esorcizzati perché era convinto che la sua condotta fosse perfetta, io lasciavo che si nascondessero sotto il mio letto perché così potevano punirmi.

Non sempre serviva ripetermi che lo facevo per mia madre e mia sorella, non leniva quel peso. Quei gesti li compivo io e, qualunque fosse il motivo, erano comunque atti troppo gravi perché riuscissi a giustificarmi.

Tuttavia, non ero in grado di frenare quella piccola e tenue speranza nascosta in un angolo del mio cervello che, ingannandomi, mi faceva credere che un giorno sarebbe successo qualcosa, mi faceva sperare in un cambiamento di quella situazione terribile.

Che idiota!

Mi alzai e andai verso il bagno. Le prime luci dell'alba entravano dalla piccola finestra, proiettandosi sullo specchio.

Poggiai le mani sul marmo del lavandino e osservai il mio riflesso. Tutta la sofferenza che provavo si concentrava nelle mie iridi.

Aprii il rubinetto, immersi le mani nel getto e mi bagnai il viso. L'acqua fresca mi provocò un brivido, ma riuscì a ridestarmi almeno un po'. Presi l'asciugamano appeso lì accanto e mi asciugai, poi portai indietro alcune ciocche di capelli che si erano bagnate.

Sbuffai, infastidito. Sentii l'irrefrenabile desiderio di uscire, non ne potevo più di stare rinchiuso tra quelle mura.

Feci una rapida doccia, mi vestii in fretta. Scesi al piano di sotto e, senza pensarci oltre, afferrai le chiavi dell'auto. Aperta la porta di casa, presi l'ascensore, evitando di guardarmi nel grande specchio, e mi avviai in fretta verso il portone.

L'aria fredda mi sferzò il viso. Probabilmente, per la maggior parte della gente, quelle temperature non erano il segnale che l'inverno era arrivato ma per un palermitano quello era già un clima gelido. Nonostante ciò, per fortuna, sembrava che stesse iniziando una giornata assolata.

Affondai il mento nel cappotto e attraversai la strada, dirigendomi verso il garage, che si trovava proprio di fronte al mio appartamento.

«Buongiorno, signor Mersiglia» mi salutò il custode con tono rispettoso.

Ogni volta che sentivo il mio cognome, in me si muoveva quella sensazione contraddittoria di fastidio e potenza.

Feci un impercettibile cenno con la testa in segno di saluto, poi mi avviai rapido verso la Porsche rosso fuoco davanti a me.

Un accenno di sorriso mi incurvò le labbra.

Salii in macchina, uscii rapido dal garage e sfrecciai per le vie silenziose della città che ancora dormiva.

Percorsi la strada ricca di curve che portava in cima a Monte Pellegrino. Lasciai il finestrino aperto, così che il vento mi colpisse il viso.

Amavo andarci a quell'ora, non c'era nessuno e riuscivo a godermi la pace e il silenzio, abbandonando i miei tormenti a chilometri di distanza.

Rallentai per bearmi di quel paesaggio che, come sempre, mi mozzava il fiato.

Mi fermai solo quando arrivai al grande piazzale proprio in cima. Spensi il motore e non mi mossi, contemplando la meraviglia che mi si parava davanti. Il mare si estendeva fino all'orizzonte, in una distesa calma e azzurra. Si univa al cielo, colorato dalle sfumature rosa e arancioni dell'alba. I palazzi sembravano tante miniature e i monti più distanti cominciavano a illuminarsi colpiti dal sole.

Scrollai la testa e un sorriso amaro apparve sul mio viso. Mi soffermai a pensare perché una città così bella fosse teatro di azioni tremende e indicibili.

Spazio autrice ✨

Buongiorno readers del mio cuore 💙

Non so voi, ma a me Adriano mi spezza 😭💔

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Ci vediamo giovedì con SYS 2 😎

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SYS 2 - La società degli splendenti. il ritorno Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora