1. Il pianto di maggio

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Il sole splendeva spavaldo su una trapunta di esuberante vitalità, stesa a coprire una terra che languiva sonnacchiosa. Gli alberi esplodevano i fiori al cielo per contendersi le grazie della loro stella più amata. Le rondini, invece, di quella stella ne sfidavano gli schiaffi impietosi, impavide nell'ardente gioco d'amore del mese di maggio. I fossi e i vaj cantavano a squarciagola le acque che finalmente s'erano liberate dalle mani ossute dell'inverno, per correre verso il mare.

Quando le ombre si fecero strette sotto i cappelli, tante piccole figure concitate presero ad animare le viuzze che serpeggiavano fra le casupole di pietra. Una di queste figurine corse fino alla cava poco fuori il paese, fra campi separati da pesanti lastre, sempre di pietra, e vacche che brucavano pigramente.

"Sta nascendo, sta nascendo!"

Alla cava, il grande Berto posò la mazza e si tolse il fazzoletto dagli occhi, scuotendosi di dosso le schegge e la polvere del granito con le manacce callose.

"Sta nascendo?" chiese agitato il gigantesco tagliapietre.

"Sta nascendo!" rispose agitato il piccolo corriere.

Allora il grande Berto mollò tutto e prese su il giovane messaggero, correndo tanto che il naso gli divenne rosso anche senza vino. Corse e corse lungo le stradine, riconoscendo ogni pietra che aveva scodellato a pugni dalla montagna. Perché Alberto Bertoldi, detto il grande Berto, era l'uomo più forte e temuto del paese e tutti sapevano bene che, come le pareti di quelle case lui gliele aveva fatte, gliele poteva buttar giù. Corse, il Berto, perché finalmente era riuscito a fare qualcosa che non fosse di pietra. Ansimava, perché finalmente aveva saputo modellare qualcosa senza i pugni, ma con le carezze.

"Guendalina! Guendalina!" urlò, quasi buttando giù la casa e lanciando via il giovane ambasciatore.

"Buono, buono!" lo rimproverò la vecchia Gianna, la levatrice, prendendolo per l'orecchio, "così spaventerai il piccolo prima ancora che ti veda!"

"Ma sta nascendo!" rispose lui come un mantice, mentre la vecchietta lo tirava quasi a terra.

Guendalina oltre la porta urlava, mentre donne indaffarate correvano in giro dappertutto.

"Lo so che sta nascendo, sempion!" disse lei trascinandolo verso la porta.

"Butei, tenetevelo voi!" esclamò spingendolo fuori e chiudendogli la porta alle spalle.

"Berto!" urlò il Guerrin, "l'è 'nvia a svedelar?"

Il Berto correva su e giù macinando sassi fra le mani.

"Sta chieto Berto, beite 'n goto!" gli disse il Bepi Bastian dandogli del vino, evidentemente preoccupato che l'ansia demolitrice del suo amico si rivolgesse contro la sua casa poco lontana.

In breve, un capannello di persone si assembrò alla porta di casa Bertoldi, chi portando pane, chi salame, chi vestiti o giocattoli. Tutte le donne si riversarono nella casa, lasciando gli uomini fuori a brontolare e ridere e piangere. Faceva tenerezza il povero Berto, per come si struggeva. Buttava giù vino a secchi mentre mordeva a volte il pane a volte i sassi, senza notare la differenza. Come non la notava fra pacche e schiaffi, del resto, e tutti sapevano che il Berto, quando era nervoso o non capiva le cose, menava. Sicché, e preventivamente, Rodolfo Giasar gli si piazzò davanti. I Giasari erano una famiglia di ghiacciaioli, che i su e giù fra buche e montagne con blocchi di ghiaccio sul groppone avevano reso smanacciatori micidiali. Il buon Rodolfo però, nonostante il freddo patito, aveva un cuore caldo e grande. Allora, per tranquillizzare il povero Berto e salvare i butei dalle attenzioni della tiraosi, attaccò briga col nostro spaccapietre. Diciamolo, non dovette sforzarsi molto il buon Rodolfo, ma al primo schiaffone che partì al Berto, subito pim pum pam, tutti i butei erano già lì a darsele di santa ragione per ogni ragione possibile, anche non santa, facendo un gran baccano. Il gran baccano tirò fuori il prete dalla pieve, che tentò di sedare la rissa. Il prete le prese, allora tirò fuori le mani pure lui. Le ostie del prete tirarono fuori il sindaco, che a sedare la rissa non ci provò neppure e prese a darle pure lui. Soprattutto al Bepi Bastian, che tentava di spostare il confine del suo campo su quello dei Boar ogni volta che nevicava, causandogli un sacco di rotture di palle. I gendarmi vennero ad aiutare il sindaco, e i vaccari corsero a darle ai gendarmi perché con la scusa delle ronde notturne gli rubavano il formaggio. I casari corsero allora a darle ai vaccari, perché dicevano che gli allungavano il latte con l'acqua e la farina. I bacani allora corsero a darle ai casari, e in men che non si dica il tumulto scorreva libero nelle stradine di pietra come l'acqua fra le rocce.

La polvere si posò solo per ascoltare gli strilli di un neonato. Il grande Berto non ce la fece più. Buttò giù la porta e si precipitò dentro casa come un toro, seguito a ruota da tutti quelli che potevano stare nella minuscola casetta. Da una porticina fece capolino la vecchia Gianna, sfregandosi le mani in un panno, la faccia scura.

"È un maschio" disse solo.

Il Berto guardò dentro, mentre alla sua cara Guendalina veniva messo in braccio un piccolo fagotto urlante. Il grande Berto sbiancò. Sulla folla scese il silenzio.

"Un maschio" ripeté solo.

Si chinò per entrare nella stanzetta, e nel silenzio inginocchiarsi accanto alla giovane moglie. Guendalina era tutta sudata, con i capelli da tutte le parti, e un grande sorriso spartiacque. Lui le prese la manina come se fosse una farfalla, respirando piano come se temesse di farle del male.

"È sano?" chiese spaventato il grande Berto alla Guendalina.

Lei si lasciò andare a grandi singhiozzi, tirando su con il naso tutta spaventata. Tutte le donne chinarono il capo, asciugandosi le lacrime. Al grande Berto si inumidirono gli occhi.

"È sano?" chiese alla vecchia levatrice.

"È perfetto."

Sospirò profondamente, il povero Berto, mentre il cuore gli sembrava farsi pesante come il martello da cava. Guendalina lo afferrò per il gilet, e lo tirò a sé, affondandoci il viso, per poi scoppiare in un pianto disperato. Le grida della povera madre si fecero strada nei cuori delle levatrici, che presero a piangere abbracciandosi le une alle altre. Gli uomini si accalcavano sull'uscio in un mosaico di barbe, baffi e cappelli. Cercavano di darsi un contegno, di osservare il silenzio che un simile drammatico momento imponeva. Volevano essere il loro conforto, volevano essere le spalle su cui le loro madri, mogli e sorelle potessero appoggiarsi sentendo le ginocchia farsi deboli e il cuore vacillare. Forse ci sarebbero anche riusciti, se il grande cuore del buon Rodolfo Giasar non fosse stato tanto colmato di ghiaccio da sciogliersi ad ogni flebile fiammella. Afferrò il prete, e scoppiò incresciosamente in lacrime anche lui. Il prete tentò di confortare il povero Dolfo, e di divincolarsi dalla sua micidiale stretta, ma le lacrime del nostro giasaro gli tracimarono nel cuore come il latte dimenticato sulla stufa, e iniziò a singhiozzare anche lui. Sentendo i singhiozzi, il sindaco si fece strada a spintoni tra la folla.

"Che succede, che succede, è un maschio?"

Il prete lo afferrò, per dirgli solo "Sì, un maschio, purtroppo."

Anche il sindaco si strusse allora, per un altro dei suoi poveri concittadini, e con il sindaco si fecero strada i gendarmi, che piansero perché sapevano che non sarebbero stati capaci di proteggere la giovane famiglia. E poi il Bepi Bastian, che senza moglie tanto voleva un nipotino, e poi i vaccari che gli dovevano dare il latte, e poi i casari e i bacani che gli dovevano dare le arti e le parti. I fiori chinarono i petali a terra vergognosi della propria vanità, le rondini si posarono sui rami, imbarazzate per i loro giochi spensierati. I rivi stessi abbassarono la voce del loro canto di libertà, mentre tutte le casette di pietra gridavano di dolore sotto il sole spendente di quel meraviglioso giorno di maggio.

Nel cuore e nella pietraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora