10. A casa

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Sul fianco della collina, il paese del Berto giaceva sonnachioso sotto la neve. Via via che si avvicinava, le strade si facevano familiari, i profili dei colli conosciuti. Dai comignoli si inerpicavano volute di fumo, le viuzze innevate erano percorse da figurine intabarrate.

"Non avrei mai pensato di tornare a casa così presto" disse il Bertoldo col cuore che batteva forte, "cavolo, sono agitato."

"È senza dubbio un buon segno" disse la Caterina.

"Perché mai?"

"Vuol dire che un cuore lo hai ancora."

Sorrideva, il nostro Bertoldo, a quelle parole. In qualche maniera lo facevano sentire più leggero, facendogli allungare il passo mentre la Caterina saltellava per non affondare nella neve. Riconobbe subito la casa del Piero Tajapiera, ovviamente tagliapietre assieme a papà, e tutte le stupide (e piuttosto brutte) statuite con cui aveva adornato la casa. Il forno del fornaio, con gli infissi chiusi e il comignolo addormentato, il campanile della chiesetta di pietra (anch'esso di pietra, ovviamente), la guglia imperiosa del municipio. Non incrociò nessuno, sulla stradina, ma non poté trattenersi dal correre quando, dopo la curva, vide l'arco tondo sopra la porta di casa Bertoldi. Qualche volto curioso si voltò verso di lui e il suo minuto animale da compagnia, ma lui non gli badò. La neve si spostava senza sforzo attorno ai suoi piedi, mentre il profumo dei pajoli lo faceva volare. Aprì la porta senza tante cerimonie, come faceva sempre. Sei paia di occhi gli si incollarono addosso. E lui scoppiò a piangere. E loro scoppiarono a piangere. E i primi che si accalcarono alla porta scoppiarono a piangere, e poi i vicini, i lontani, il prete, il sindaco, le guardie e i vaccari, i bacani e i maiali. In poco tempo le casine si erano svuotate, e intabarrati alla bell'e meglio tutti si riversarono sulla porticina tonda di casa Bertoldi.

"'l spasixièr l'è de 'òlta!"

"Ma ci?"

"'l Berto!"

"Dal bon!"

"Mavalà!"

"Ma no!"

"Ma sì, te diso!"

E pim pum pam, tutti che si abbracciavano e piangevano, e poi cantavano e saltavano, e chi portò il vino e chi il pane, chi la polenta chi il salame. Legna fu gettata sul braciere della piazza, arroventate furono le griglie, mentre il grande Berto torreggiava sulla folla, una botte di vino sotto un braccio e il piccolo Berto, di nuovo piccolo, sotto l'altro.

Neanche il tempo di aver ben mangiato e ben bevuto, che tutti erano già passati ad abbracciarlo e baciarlo. Mamma Guendalina era dignitosamente brilla, passava dal pianto al riso come il vino dalla bottiglia al bicchiere, senza smettere di abbracciarlo e baciarlo.

"'l me butin, 'l me butin!" diceva solo, prima di ricominciare a piangere o ridere.

Il grande Berto, dal canto suo, non era da meno. Era tutta la sera che raccontava di quando le anguane lo avevano preso, di come il suo piccolo Berto era stato dritto e senza paura. Lo faceva però con un tale trasporto che tutti, dico tutti, sembrava sentissero una storia nuova come se non fossero stati là anche loro, quel giorno.

"No'l ga mia spaènto de niente, el me vèro!"

Il piccolo Bertoldo invece era a sua volta più che brillo. Tutti volevano offrirgli da bere, e mangiava come se non avesse mangiato più dall'ultima volta che era stato lì. Il gran vociare si fece cauto solo quando la vecchia Gianna, la sua levarésa, si fece lentamente un sentiero nella folla, a colpi di bastone. Il piccolo Berto si gelò, così pure il grande Berto. Sapeva bene, infatti, che se la vecchia non avesse giudicato adeguato il trattamento che stava riservando al figlio gliele avrebbe cantate.

Nel cuore e nella pietraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora