"Ma guarda un po' chi ci degna della sua compagnia."
Il Flavio, l'energumeno e un nutrito numero di butei del suo squadrone erano accalcati su una delle tavolacce fuori dalla taverna. Il Berto gli badò poco, rapito dalla magnificenza dei palazzi che circondavano la Piazza delle Erbe. Sottili finestre trilobate interrompevano graziosamente affreschi di ogni colore, con piante e fiori che cadevano giù ovunque. Dietro la fontana, una colonna con in cima un leone, la spada in una mano e le scritture nell'altra. Un dono del Principe Marinaio alla città. Il nostro eroe era stordito. Guardava i suoi compagni come se fossero intangibili, le loro parole confuse. Senza chiedere permesso, si sedette al tavolo, proprio di fronte all'energumeno. Aveva un piano, per riscuotersi da quel torpore.
"Vuoi da bere, mezzasega?" lo interrogò con ostilità il grosso.
"Sì" e ricevette un bicchiere di vino.
"Cos'altro vuoi?"
"Vedere la città. Bere. Mangiare. Non sono mai stato in una città" rispose il Berto.
"Sono tre giorni che siamo qui in città! Come mai non ci hai pensato prima?" lo incalzò l'energumeno.
"Dai Cosimo, lascia perdere. Avrà avuto da fare" intervenne il Flavio con fare pacificatore.
Nel suo ottundimento, però, il Berto notò che mentre parlava il Flavio lo guardava con la coda dell'occhio, osservando attentamente le sue reazioni. Non stava facendo da pacificatore, stava elegantemente soffiando sul fuoco che il vino aveva acceso nell'energumeno e nei suoi compagni. Alcuni però presero le sue difese, come se le parole del Flavio non avessero trovato terreno fertile.
"Se uno vuole essere lasciato in pace, allora lo devi lasciare in pace!" si intromise uno.
Questo era un giovane uomo alto e slanciato. I ricciuti capelli scuri circondavano due brillanti occhi verdi su guance rosse anche senza vino. Come lui, anche gli altri che iniziavano a spalleggiarlo erano evidentemente gente della montagna. Gente che quando vuole starsene per conto suo guai a impedirlo, gente per cui i Casi Mei sono posti appena sotto la Trinità e la Madonna.
"Stiamo tutto il giorno nello stesso pantano a prendere legnate, e lui ha altro da fare? Cosa sarebbe questo! Io non voglio avere a fianco uno di cui non posso fidarmi! Non siamo qui a combattere solo per i soldi, ma anche per la dignità. Chi ti credi di essere? Un uomo d'arme? Sono loro quelli che ci schifano, davanti ai quali dobbiamo restare uniti. E tu cosa fai? Tutto altezzoso nel suo regale silenzio a imitarli! Siamo troppo stupidi per te? Puzziamo?"
Cosimo, l'energumeno, aveva lasciato la fornace aperta.
Oh vabbè, al diavolo, pensò il Berto.
"Come hai detto di chiamarti? Cosìno?"
In un attimo i denti del Berto ebbero un incontro romantico con le nocche del robusto Cosimo, che lo mandò a volare giù dalla panca, assieme a piatti e bicchieri.
"Cosìno!" scoppiò a ridere un altro, dando una pacca sulla schiena di Cosimo, che dal canto suo non gradì, spedendo al tappeto anche lui.
Vino e gioventù fecero il resto. In poco tempo, lo spazio aereo della zona si fece piuttosto trafficato per le sedie e i piatti che decollavano, cosa che iniziò ad irritare i barcaioli, stufi di vedersi roba atterrare sul tavolo.
"'Sti bacani, 'sa vienli a rompar i cojoni!" dicevano i barcaioli, ed eccoli a tirar schiaffi anche loro.
Essendo ancora poco caldo per lavorare a ritmo pieno, i vasari si annoiavano ragguardevolmente. Accolsero di buon grado l'opportunità di spiegare come mai non avevano gradito l'introduzione dei dazi fluviali che i barcaioli avevano richiesto. Poco dopo, e senza una particolare ragione, i sàvatari presero a tirar scarpate a loro volta.
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Nel cuore e nella pietra
Fantasy"Sta nascendo, sta nascendo!" Alla cava, il grande Berto posò la mazza e si tolse il fazzoletto dagli occhi, scuotendosi di dosso le schegge e la polvere del granito con le manacce callose. "Sta nascendo?" chiese agitato il gigantesco tagliapietre. ...