18. Nubi scure a occidente

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L'erba primaverile si era distesa sulle colline e la pianura con la fresca eleganza di una giovane al primo ballo d'estate. Malgrado questa sempre sorprendente bellezza, il Berto non poté far tuttavia a meno di notare come il suo sapore rimanesse orribile.

"Ti ho detto: guardia in porta di ferro alta. O sbaglio? 'Sto mandolon" sospirò l'istruttore.

L'istruttore si chiamava Mateo, ed era un tipo nervoso con i capelli che iniziavano a ingrigire. Aveva nel parlare una cadenza altalenante, quasi fastidiosa, tipica della pianura, piena di fischi e sibili. Come era fastidiosa la sua finta a sinistra, che si era tradotta in un altro formidabile tondo contro la scoperta faccia del Berto, ora riverso a terra.

"Voi siete dei pezzenti figli di nessuno. Non valete una sega, per un uomo d'arme. Quelli hanno le migliori corazze, le migliori spade. Hanno passato la vita a combattere" urlava il Cuorsepolcro alle reclute, che venivano mandate a gambe all'aria dagli istruttori.

"Avete mai assistito ad una carica di cavalieri? Sì, proprio quelli tutti profumati e piumati che vedete passeggiare per le strade senza chiedere il passo. A centinaia vi corrono incontro, serrati come pesci in un barile. La terra trema, il fragore vi toglie il respiro dal petto. Anche se io vi dessi la migliore corazza che posso comprare, l'impatto sarebbe così tremendo che vi aprirebbero come una noce, o vi schiaccerebbero sotto i ferri dei loro destrieri. Sono professionisti della guerra. Voi, dei ridicoli dilettanti!"

"Avanti mandolon, alzati. Riproviamo" disse il Mateo tirando su il Berto da terra.

Il Berto si asciugò il sangue dalla bocca col dorso della mano, e riprese la posa da guardia con espressione incattivita.

"L'unica possibilità che avete per tornare a casa vivi, è fare quel che dico io!" concluse il gigante.

Le giornate alternavano marce di trenta o quaranta chilometri a esasperanti esercizi con la ronca, la spada o la balestra. Il Cuorsepolcro aveva personalmente selezionato chi avrebbe fatto parte di quale corpo. Fanteria da una parte, tiratori dall'altra. Fra i tiratori aveva infilato quelli più gracili o vili, che a suo avviso non sarebbero mai stati utili all'arma bianca. Li aveva caricati di un grosso scudo sulle spalle, che avrebbero dovuto conficcare a terra una volta raggiunta la posizione loro comandata. Gli altri erano in fanteria. Tutti venivano addestrati a combattere in formazione e a muoversi il più rapidamente possibile senza romperla.

"Fino a che rimanete compatti, persino i Cavalieri del Nord ci penseranno due volte a caricarvi, soprattutto se ci devono pensare mentre sono bersagliati di quadrelli. Ma se uno solo di voi si gira e rompe la formazione, vi si infileranno come acqua in un secchio bucato, e sarete morti tutti" continuò il Capitano.

Piano piano, le armi di legno vennero sostituite da quelle in metallo. Cotte di maglia, piastre di cuoio e ferro iniziarono a ricoprire quelli più adatti per i ranghi frontali. Queste erano tutte colorate di nero, cosa che risultò poi essere insolita. Altra cosa insolita era la presenza di uno scudo legato direttamente al sotto la spalla sinistra del fante.

"Il Capitano ha saputo di questo sistema da alcuni viaggiatori giunti dall'estremo oriente" spiegò il Sergente Mateo.

"Tu sarai anche spadiere" disse l'Alfiere Ambrogio al Berto.

A sentir ciò, il Berto si ritenne sorprendentemente soddisfatto. Lo pensava come un riconoscimento dei propri sforzi, e il grado garantiva anche una paga un po' più alta rispetto a quella dell'umile roncoliere.

"Grazie, Alfiere!" esclamò.

Il Berto però non riusciva a godere appieno del gioco di spada nonostante l'ottimo lavoro, per ammissione dell'Alfiere stesso, che il Mateo stava facendo. Quando stava in formazione con i roncolieri, uno contro la spalla dell'altro, il Berto si sentiva invincibile.

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