11. Cuore di orco

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"Entrate. Scusate l'odore."

Il vento ora ululava più forte, quasi volesse zittire le strie, o manifestare il suo dissenso ai loro comandi. Chiusa che ebbero la pesante porta della Ca' Salvega alle loro spalle, un vivace focolare rincuorò la loro buia disperazione, illuminando una grande stanza tappezzata di qualsiasi cosa si potesse trovare in una casa. Pentole, armi, libri e carte di ogni foggia e provenienza. Grandi vasi contenevano medicinali, con etichette scritte in molte lingue. I mobili erano grezzi e massicci. Come le travi e le colonne, erano intarsiati secondo il gusto di molte mani che avevano avuto molto tempo, per lavorare. Nell'aria, forte, l'odore del ginepro che brucia.

Il loro ospite si cavò la roba di dosso. Non era particolarmente alto, né massiccio. Nulla avrebbe lasciato intuire la forza che aveva manifestato contro le anguane. Si sedette davanti al fuoco e si accese la pipa. In poco tempo, l'odore del tabacco prese a giocare con quello della cenere e del legno. Spinse un pentolone vicino al focolare.

"Chi sei?" chiese don Ruggero, forse poco educatamente.

"Un orco, un viandante, un sacrificio. Molto dipende dagli occhi di chi guarda" rispose mesto quello, fissando il fuoco negli occhi, quasi ignorando il suo malconcio gruppo di ospiti.

"Chi eri?" specificò allora il prete, avendo capito.

"Davide Tomasi" sospirò l'orco.

Era un nome noto, sulle montagne, quello.

"Dicevano che eri morto a nord, tentando di passare il valico" disse il sindaco.

"Ognuno può dire quel che vuole."

"L'Elia è a casa Bertoldi, adesso. Se sapesse che sei qui, perderebbe la testa! Quando sei tornato? Perché non sei andato da tuo fratello?" lo rimproverò il Piero.

"Con le ultime foglie cadute, sono arrivato. Non sono andato da lui perché non lo voglio vedere."

"Ti sembra questo il modo di trattare tuo fratello?" lo riprese irato il Sergio, tutto acciaccato.

"Butei, boni!" li riprese don Ruggero.

"Boni 'na sega, don! La povera madre di questo disgraziato porta ancora i fiori alla Vergine, e lui non si degna di farsi vedere!"

"Ha ragione, don" disse il sindaco, "questa è una cosa tremenda. Tremenda!"

Le acque si scaldavano. I militi, ancora montati per la battaglia, erano in subbuglio. Il Davide, dal canto suo, continuava a fissare il fuoco, come uno scoglio, indifferente al mare che fa la voce grossa.

"C'è una cosa più importante, a cui pensare" disse d'un tratto un'ombra.

Saremmo tutti sorpresi se un albero sotto il quale ci fossimo seduti a mangiare, d'un tratto, si chinasse per mettersi a parlare con noi. Ecco, in maniere non dissimile, dalla penombra emerse un vecchio, coperto di pelli e cicatrici. Si era alzato da un massiccio seggiolone intarsiato, anche se per la sua mole pareva un seggiolino. Era infatti un vecchio di proporzioni enormi: occhi fiammeggianti sormontavano una folta barba grigia, lunghi capelli bianchi gli incorniciavano il volto senza tempo. Gli avambracci erano nudi, lasciando intuire una forza spaventosa. Con passi pesanti avanzò verso di loro; l'andatura era lenta, ma non claudicante. Pareva invece che pensasse ad ogni passo che faceva. Tutti gli fecero largo, quando poggiò una mano sulla testa del povero Bertoldo, che in silenzio era rimasto indietro, col volto rigato di pianto.

"Siediti, giovane."

Davide prese dal pentolone una robusta tazza di brodo fumante.

"Non ho fame" rispose il Berto.

Nel cuore e nella pietraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora