Epilogo

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La Torre della Ragione era inondata dalla luce di una struggente alba di inizio estate. Rondini chiassose riempivano l'aria dei loro vibranti richiami di caccia, mentre il Serpente Azzurro scorreva fragoroso sotto gli antichi ponti di pietra e mattoni. Il porto era un brulicare di chiatte, barche da pesca e galere. Su queste sventolavano pigramente le bandiere del Principe Marinaio, e i gonfaloni argento e blu dei Maledetti di Cuorsepolcro. Il Berto non aveva dormito, quella notte. Aveva percorso tutta la cinta delle mura, scrutando ogni campanile, tetto o cupola che sonnecchiava sotto di lui. La fresca brezza di primavera leniva il dolore delle ferite che lo segnavano sul corpo e sul cuore. La luna nuova aveva taciuto rispettosamente, quella notte. Aveva lasciato alle stelle il compito di sussurrare a quell'anima tormentata parole di sollievo. La Caterina avanzò in silenzio con lui, un lumino amorevole a guidare i passi insicuri di un bambino che troppo in fretta aveva dovuto imparare a camminare come un uomo. Risalirono la cinta delle Torricelle, e la Grande Pianura si spalancò ai loro piedi, abbracciando la città intera e tutto l'orizzonte fino ai Monti Cerchianti a nord. Il profumo del vento era inebriante. Riempiva polmoni e spirito con una forza fresca, enorme. Il Berto la sentì, e i suoi occhi seguirono il suo naso. Le verdi valli si arrampicavano su fra le colline fino alla sua casa, con le sue pietre eterne, i suoi rivi fragorosi e le sue maledizioni. Un brivido di piacere gli fece venire la pelle d'oca. Sotto le mura, il piccolo mandorlo stava ancora pacificamente al suo posto.

"Andiamo un po' lì sotto, che dici?" chiese la Caterina al Berto.

"Con piacere" rispose lui, assorto.

Le verdi foglie brillanti erano diventate più scure, con graziosi fiori bianchi che annunciavano una generosa fruttificazione.

"Non verrai con me, vero?"

"È un viaggio troppo lungo per la breve vita di una volpe. Inoltre, voglio vedere i miei piccoli. Non posso lasciarli per sempre fra le zampe di quel cretino dell'Eusebio. Non imparerebbero neppure a rubare un pollo."

Il Berto rise.

"Mia madre diceva, se li lascio soli col padre troppo tempo, verranno su che sapran solo bere, spaccare pietre e cojoni".

"C'è mancato poco, direi."

Il Berto rise di gusto, ma poi si piegò, sempre ridendo, in una smorfia di dolore.

"Non ti divertire troppo, finché non ci sono" sorrise la volpe.

"Tornerai da lei?" si decise infine a chiedere il Berto.

La Caterina si fece silenziosa. Sapeva che non la avrebbe lasciata andare senza chiederle di lei. Da quando erano riemersi dall'Abisso, il suo quasi umano amico non aveva proferito una parola su di lei. Come avrebbe potuto, del resto? Quando erano entrati nel maschio della Gioiosa Guardia, la Caterina stessa, al sicuro nella sua sacca, aveva provato per pochi, interminabili minuti l'ordalia che il Berto aveva subito ogni giorno, per mesi, fra le grinfie dell'Infelice Collegio. Mai avrebbe immaginato nulla del genere, e si pentì di non essere stata più comprensiva verso quel cuore afflitto.

"No. Ho deciso che, se non sarò costretta, non tornerò."

"Capisco" rispose il Berto con un sorriso malinconico. "Sai, non ero neppure sicuro io stesso, di cosa avrei voluto tu rispondessi. Quando l'ho vista, avvolta dalle fiamme e dalla morte, mi son chiesto davvero cosa fosse. Mi son chiesto come avessi tu avuto il coraggio di starle vicino così a lungo. Ho maledetto l'invidia che provavo per tutto il tempo che hai potuto passare con lei."

"Non me lo hai mai detto!" rispose sorpresa la Caterina.

"Non ero sicuro di niente. Di cosa fosse giusto o sbagliato, di chi fossi io, di cosa volessi."

Nel cuore e nella pietraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora