5. Buia maestà

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Quando il Bertoldo aprì gli occhi, gli faceva male dappertutto. La pelle, le ossa, la testa, il cuore. Pianse, pensandosi pupazzo senza peso fra le mani di un'altra creatura della notte.

Signore, Signore, singhiozzò, tentando di girarsi sulla schiena.

"Sei vivo, quindi. Chi lo avrebbe detto, quelle cagne sono meglio di quanto non credessi, con la medicina. Poco male" disse una voce meditabonda, "mi potresti essere utile comunque."

Una mano sottile lo afferrò per i capelli, sollevandolo senza sforzo dal suo giaciglio e facendolo distendere su un tavolo.

"Fatti vedere" disse la voce imperiosa.

Come la Fada gli si avvicinò, il Bertoldo si rinchiuse a riccio, coprendosi il viso con le braccia.

"E sta' fermo!"

Con le sue mani delicate, nonostante la forza smisurata, la Fada si limitò a spostargli i capelli, scrutandogli la pelle. Poi ne esaminò con attenzione tutto il corpo, osservando ogni cicatrice, ogni frattura rinsaldata.

"Maledetta Elisabetta" sghignazzò, "ce la stavi per fare."

"A fare cosa?" chiese ansimante il Bertoldo.

"Ad avere un figlio" rispose sovrappensiero la strega. "Ma a te che importa, sta zitto!" fece, alzando la mano minacciosa.

Il Bertoldo si coprì di nuovo il viso, mentre lei veniva subito rapita dai suoi pensieri, e lo sguardo si faceva lontano. Cominciò a camminare lentamente per la stanza. Il Bertoldo si guardò subito attorno, alla ricerca di una via di fuga. L'antro era pulito e illuminato. Ammassati in ordine su molti armadi, una pletora di libri, pergamene e papiri. Barattoli ordinati custodivano i corpi di molte creature diverse, o almeno alcune delle loro parti. Tavoli oberati di carte, coltelli e pentole. Un ampio falò bruciava pigro in un angolo. Da una parte e dall'altra dell'antro di aprivano bui corridoi.

Quale di questi cunicoli porterà all'uscita?, si chiese il Berto.

Riuscì a sollevarsi a sedere, aguzzando le orecchie ai passi della strega. Sulla parete davanti a lui erano ammassate armi e armature di ogni sorta e foggia. Non era questa una cosa buona, perché le armi seducono e spaventano le menti dei giovani uomini in egual misura. Ed essendo giovani, purtroppo, non addestrate ad afferrare le buone idee in tempo, quando passano. Il Berto fece per prendere una spada, ma come il metallo tintinnò sulla rastrelliera levò la mano. Allora afferrò un lucido bastone di legno rosso, con borchie di bronzo sulle estremità. Sentì sotto le dita la forza tremenda di quelle venature.

"A scuola non eri tu quello sveglio, vero?"

Si girò di scatto; la Fada Regina lo guardava sorridendo. Era vestita di abiti semplici, scuri, quasi come una monaca. Era magra, asciutta, molto diversa dalle floride anguane cui aveva dovuto tanto a lungo prestare il proprio corpo.

"Ti prego, non pensare male. Ti sono grato per avermi portato via da là, ma potrebbero venirmi a prendere. Per altri nove anni devo loro la mia carne. Stavo pensando solo a come difendermi..."

Una volpe nera, con la punta della coda d'argento, strisciò fra le gambe della donna.

"Non lo faranno" disse l'animale, lasciando esterrefatto il nostro eroe, "appartieni a Sua Maestà adesso".

"Maestà? Maestà. Se non vi sono di uso alcuno, Maestà, eternamente debitore, io me ne andrei..."

"No" rispose lei.

"No?"

"No" e se ne andò.

"No" ripeté piano il Bertoldo.

Nel cuore e nella pietraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora