13. La cascata

4 2 0
                                    


Le colline si scrollavano di dosso il manto innevato via via che rotolavano verso sud. Gli alberi si facevano più fitti, i rivi d'acqua più impetuosi. Il Davide era sorprendentemente di buon umore. Sembrava quasi un altro. Per tutto il viaggio aveva chiacchierato di gusto, raccontando del suo Sacrificio, di quando ne era uscito e di come il vecchio Minimo lo avesse accudito dopo che sua madre Rita non era stata capace di accettarlo a casa. Così come suo padre, i suoi fratelli e la sua amata Veja.

Ora che stavano davanti a un piccolo fuoco, beveva di gusto il vino che si era portato dietro, rosolando con amore della carne fresca che evidentemente non era intesa per un lungo viaggio.

"Cosa pensi di fare, una volta giunto alla pianura?" chiese il Davide, girando la succulenta bistecca.

La Caterina stava seduta, con la lingua a penzoloni e un poco elegante filo di bava che le conferiva un'aria decisamente poco furba.

"Ancora non lo so" disse il Bertoldo, "mi pare quasi di non volerlo sapere. Non so come spiegarlo."

"Credo di capire" disse il Davide sorridente, "tieni, bevi un sorso di questo vino. È meraviglioso, uno dei più buoni che abbia mai assaggiato!"

"Cavolo, è buono davvero. Un vino per le grandi occasioni" constatò il Berto.

"Senza dubbio!"

Le guance del nostro giovane Berto si incendiarono rapidamente, per il forte vino a cui non era abituato, e la testa si fece piacevolmente leggera.

"Voglio dire, non ho la più pallida idea di cosa fare! La mia famiglia ha sofferto molto, e penso che se me ne fossi rimasto in quella buca il tempo stabilito, ora il mio papà sarebbe ancora vivo. Non posso rimanere con loro, o con nessuno, per via della paura che quello che mi han fatto le streghe metterebbe loro. Non so un mestiere, un'arte, non so niente. O meglio, mi hanno insegnato di tutto un po', come a te penso. Ma soprattutto, il grosso di quello che so era quello che mi aveva insegnato don Ruggero perché le anguane non spezzassero il mio spirito. Ma ora non son più sicuro neppure di quello."

"Parli della Fada Regina, Malaspina di Boscocattivo. È lei che ti ha insinuato il dubbio nel cuore."

Il Bertoldo tacque, rosso per il vino e la vergogna.

"Bè, questa sì che è una storia da raccontare. Dopo aver cercato di fuggire con l'astuzia dalle grinfie dell'Infelice Collegio, sei stato salvato nientepopodimeno che dalla Fada Regina in persona. Non contento, poi, ne sei diventato l'unico amante mortale. Caro mio, questo è materiale da leggenda!"

L'Orco Davide si rimboccò le maniche per agguantare la carne ancora rovente. Solo allora il Bertoldo notò che le sue braccia avevano un che di animalesco. Eccezionalmente villose, erano sproporzionatamente spesse e nerborute. Le mani avevano dita corte e tozze, che terminavano con unghie più simili a quelle dei lupi, che non di un uomo. Il Davide si accorse del suo sguardo fisso.

"Questa è la foresta che ci mettono dentro. Poco a poco, la nostra umanità, la nostra carne si diluisce col sangue delle bestie" fece, con la voce bassa, rigirandosi il braccio davanti al viso.

"Scusa, non intendevo metterti a noia."

"Non ti scusare, Berto" disse la Caterina, "il nostro Davide è un uomo adulto, e libero. Se ti può consolare, è da quando l'ho visto la prima volta che non riesco a dormire in casa. L'odore di lupo che si porta addosso è così forte che mi tiene sveglia la notte. Tu riusciresti a chiudere occhio con un predatore affamato fuori dalla buca della tua tana?"

"Cara, saggia creatura" rispose il Davide sorridendo, "mi spiace essere la causa del tuo turbamento."

Staccò un robusto boccone di carne, e lo gettò alla volpe.

Nel cuore e nella pietraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora