2. Il sacco e la seta

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"Serena! Non fare i dispetti a tuo fratello!"

La piccola peste incrociò le braccine avvolte di candida seta con fare ostile, mentre la mamma la richiamava dall'altra stanza.

"Ma Bertoldo se ne va!" urlava imbronciata la Serena, battendo i piedi e protestando senza sosta.

"Serena, basta!" gridò la Guendalina in tutta risposta.

I bambini piccoli, si sa, non conoscono il peso da dare alle cose, e ancor meno la ragione per cui dovrebbero farlo. Ma sono intelligenti, i bambini piccoli. Serena infatti smise di tormentare il povero Bertoldo. Qualcosa non tornava. Lei era vestita di un grazioso abitino bianco, con i capelli intrecciati attorno a un cerchietto d'argento. Non capiva perché invece il Bertoldo, il suo fratello maggiore che tutti chiamavano il piccolo Berto per distinguerlo dal padre, avesse i capelli rasati, e fosse vestito di qualcosa che somigliava a della tela di sacco, colorata di nero e stretta in vita da una corda. Era diventato tanto alto, nell'ultimo anno, e una barba leggera aveva iniziato a sporcargli il viso liscio. Anche nella voce della mamma qualcosa non tornava. La Serena uscì allora dalla sua stanza per guardare oltre la porta. Vicino alla finestra della cucina vide la gigantesca sagoma di papà, il grande Berto, che avvolgeva la delicata figura della mamma.

La Guendalina piangeva disperatamente contro il petto del marito, mentre si aggrappava con forza alla sua giacca buona. Il grande Berto aveva gli occhi umidi, tirava su con il naso e qualche lacrima scendeva a bagnargli i baffi. La bocca, però, era tirata per la rabbia, mentre le manacce fremevano. Il nostro tagliapietre non sapeva come proteggere la bella moglie. Non sapeva che farsene di tutta la sua forza. Avrebbe potuto spianare una collina intera, e ancora non sarebbe servito a niente.

"Non daremo loro anche il nostro dolore" sospirò il grande Berto.

"Non riesco a fare a meno di pensare che, se avessimo aspettato, non avremmo dovuto dar loro proprio niente" disse la Guendalina, fra la rabbia e lo sconforto.

"Lo so. Ma che altro potevamo fare? Aspettare che qualcun altro avesse un figlio prima di noi? E se avessero avuto una femmina, o un maschio gracile, o se gli fosse morto prima del Sacrificio? Avrebbe potuto toccare a noi lo stesso. Lo sai, passato il decimo equinozio, quelle maledette aspettano il primo maschio sano, e possono aspettare quanto vogliono."

"Lo so, lo so" si struggeva lei, "è che non ce la faccio..."

"È sempre stato così. Anche se questo non migliora le cose. Non possiamo sfuggire, non importa dove andiamo, quanto aspettiamo".

"Lo so, lo so" ripeteva lei.

Toc toc.

Fuori dalla porta di casa Bertoldi stavano allineati in cerchio tutti gli amici e i vicini. Il sindaco, gli armigeri, i casari e i vaccari, il prete e i bacani, il Bastian e il Guerrino, le rondini e i fiori, i bambini e le bambine vestiti di bianco, i buoi con le corna coperte di foglie, i muli e le capre. Tutti avevano indosso il vestito buono, quello delle grandi occasioni, e lo sguardo triste di chi vede un figlio partire.

I Bertoldi si asciugarono le lacrime, presero per mano i loro figli e uscirono dalla porta. Anche se tutti assistevano a quella scena da tempo immemorabile, era qualcosa a cui nessuno si era mai riuscito ad abituare. La bilancia era sempre difficile da pareggiare, il peso del sacrificio immane. La Serena ormai era certa che qualcosa non tornava, e un lacrimone le scappò lungo la guancia senza tanti complimenti.

"Mamma" disse solo, guardando in su.

"Oh, piccola mia" disse solo la mamma, senza sapere cos'altro aggiungere, senza sapere cosa fare oltre che prenderla in braccio.

Nel cuore e nella pietraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora