"Ma stiamo scherzando?" continuava a ripetere a voce alta il povero Bertoldo, "lasciarmi andare, sul serio? Dovrei crederci? Mi vuole mettere alla prova?"
Era furibondo. Camminava avanti e indietro, trattenendosi dal ribaltare tutto quello che si trovava sottomano, temendo di danneggiare roba di Malaspina. La sua paura era ancora più forte della sua rabbia, e questo lo faceva arrabbiare ancora di più.
"Si può sapere cos'hai da far tanto chiasso? Ha detto che puoi fare quello che vuoi, no? Vattene, dunque!"
"Se fosse un inganno? Se non stesse aspettando altro che io abbassassi la guardia per fulminarmi alle spalle?"
"Ti sembra abbia bisogno di aspettare che tu abbassi la guardia?" rispose la volpe piegando condiscendente il capino.
"Non so, non mi convince."
"Vattene e basta! Quanto chiasso che fai! Lo ha detto, no? Prendi i tuoi stracci e sparisci!"
"Dove dovrei andare?" disse il Bertoldo, quasi a sé stesso.
"Oh" rispose la volpe rizzando i baffi, "cosa significa questo?"
"Non posso. Non voglio. Non lo so" rispose mesto mettendosi a sedere, la testa fra le manone.
"Vieni con me, andiamo a prendere un po' d'aria fresca. Il tuo cervello ne è evidentemente a corto."
"Va bene" rispose lui, con gli occhi umidi.
Ripercorse scalini e cunicoli, stavolta spezzati da barriere di luce autunnale che giocava con le radici e le gocce di pioggia. I piccoli rivoli che scrociavano ovunque erano accesi di più colori di quanti ne avesse mai visti, sciami di fate contro il candido calcare lucidato dalle mani pazienti dei millenni. Arrivarono allo spiazzo da cui, la notte precedente, avevano assistito alla visita di Malaspina all'Infelice Collegio. Il cielo era azzurro e terso. Nuvole bianche volteggiavano lente al pascolo nella fresca aria d'autunno. Sotto di loro, le fronde irte di Boscocattivo alzavano al cielo mani cariche di sacrifici, terra e sangue, oro e argento, a invocare eternamente un aiuto che mai era arrivato. Il Bertoldo rimase a fissare quello spettacolo. Stormi enormi e densissimi di uccelli esplodevano dagli alberi verso il cielo, inseguendosi e richiamando i loro parenti per il viaggio verso Sud. Respirò profondamente, sedendosi finalmente sull'erba fredda.
"Cosa significa che non puoi tornare a casa?" chiese Caterina sinceramente incuriosita.
"Sai leggere, no? Conosci quindi l'Antico Patto."
"Lo conosco, ma non ne ho letto. È roba vecchia, nata prima che chicchessia imparasse a scrivere, o ne sentisse il bisogno."
"Allora c'è qualcos'altro che devi sentire."
"Ti ascolto."
"In cambio dei loro servigi, le anguane pretendono che un giovane venga offerto loro per dieci anni. Il primo nato dopo il decimo equinozio. Purché sia sano, forte e bello."
"Ah, e han preso te."
"Non fai ridere."
"Dici?" replicò la volpe sghignazzando.
"Quando il fiore inizia ad appassire, lo buttano, e ne prendono un altro. Ma il giovane non può tornare a casa. Nessuna donna lo vorrebbe in marito. Tutti sentirebbero l'odore di selva nel suo fiato, ed eviterebbero la sua compagnia a tavola. Non per cattiveria. Tutti lo amano e lo coprono di regali, ma gli odori sono troppo forti, le cicatrici troppo orribili. Così gli hanno costruito una casa."
"La Ca' Salvega" concluse la volpe.
"Proprio quella. Dal margine del paese, il giovane, e i non più giovani che avevano incontrato lo stesso destino, vegliano sulla loro gente. Molti partono per lunghi viaggi, per riportare indietro arte e sapienza. Altri rimangono lì tutta la vita, osservando mesti il rincorrersi del sole e della luna. Altri si buttano in un qualche vajo, dove concedono la propria carne alle bocche affamate di Boscocattivo. Altri, vanno a San Nissuni, per lasciarsi morire di fame."
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Nel cuore e nella pietra
Fantasy"Sta nascendo, sta nascendo!" Alla cava, il grande Berto posò la mazza e si tolse il fazzoletto dagli occhi, scuotendosi di dosso le schegge e la polvere del granito con le manacce callose. "Sta nascendo?" chiese agitato il gigantesco tagliapietre. ...