27. L'abisso

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Il Cuorsepolcro allargò le braccia, arrestando la fiumana di soldati esaltati che lo seguivano. La piazza d'armi della Gioiosa Guardia era deserta, nessuno li aspettava per arginarne l'avanzata. Richiamò immediatamente all'ordine la formazione, che recalcitrante si ricompattò attorno al punto in cui il sergente Mateo si era asserragliato.

"Signore, che succede?"

"Fa' silenzio" ruggì il Cuorsepolcro, mentre pareva annusasse l'aria.

Il silenzio era calato sulla fortezza assieme alla nebbia, che copriva l'orrido lavorio di mandibole che si consumava appena fuori dalla porta. Il cancello del maschio si aprì sulla lacera figura della Mano di Gad, che fra le spalle ancora teneva la testa che aveva strappato al Pièbisulco.

"Mentirei se dicessi benvenuti, Capitano Cuorsepolcro, ma sono combattuto. La tua tenacia, il fastidio che riesci a creare mi offendono" sibilò la Mano scostando le vesti su una spaventosa ferita di balestra aperta proprio sul cuore, "anche se, al tempo stesso, ne sono compiaciuto. Vedi, gli spifferi si stanno facendo fastidiosi, e col tuo contributo vorrei rimediare."

"Non sei degno di tenere quella testa sulle spalle, né di tenere quei piedi maledetti su questa terra. Consegnaci i prigionieri, fa sprofondare queste creature dannate e arrenditi a noi. Se ancora c'è dell'umanità in te, potrai chiedere perdono per le tue azioni prima che io personalmente prenda la tua vita" urlò il Cuorsepolcro.

"Vedi, Capitano, nei pochi millenni della vostra storia vi siete ammantati di questa idea, chiamiamola, secondo cui il Verbo avrebbe concesso a voi uomini una qualche libertà di partecipare al lavorio incessante della forgia del Fato. Privilegio o arroganza che sia, sono in molti a mal sopportare questa idea, e tra loro il mio Signore. È opportuno che impariate il dolore che porta una simile illusoria convinzione."

Le vesti della Mano vennero mosse da una brezza improvvisa, che ripulì gli spalti della fortezza dalla nebbia che li avvolgeva. In piedi e silenziose, molte figure coperte di povere vesti tenevano lo sguardo triste sui Maledetti. Imbracciavano malamente archi e altre misere armi.

"Signore, è come con i contadini nella foresta" sussurrò il Berto al sergente Mateo.

"Non distrarti" rispose quello, tenendo lo sguardo sulle orride creature oltre la porta.

"La penso come lui, non distrarti!" guaiolò la Caterina tenendo il naso nella sacca.

Una ragazza sullo spalto si passò il coltello sulla gola, tingendo la rozza tunica di un rosso scarlatto. In pochi secondi le ginocchia le cedettero, e si lasciò cadere nella piazza d'arme senza vita, accompagnata dai singhiozzi silenziosi delle persone attorno a lei. Fra i Maledetti non v'era più scherno o grinta. Una rabbia silenziosa strisciava fra le fila compatte.

"Non ripeterò la mia offerta un'altra volta, Dannato" ringhiò il Cuorsepolcro, "lascia liberi questi innocenti."

"Ti assicuro, Capitano, che lo sono, liberi."

Dagli spalti sopra di loro, un bambino si gettò nel vuoto, per precipitare sulle ronche levate dei Maledetti in formazione, che si scompaginarono urlando sconvolti. Urla e improperi si levarono, la sete di vendetta dei militi era ormai incontrollabile.

"Capitan, copemolo!"

"Capitan, tirenlo sò!"

"Fiol de na roja!"

"Consegnati a me con il ragazzo che tanta offesa ha recato al mio Signore, Capitano Cuorsepolcro. I tuoi uomini e questi poveri disgraziati potranno ritirarsi e attraversare queste terre, incolumi" commentò la Mano, con un velo di malizia.

Un altro uomo cadde a terra senza vita dal ballatoio, con un tonfo atroce di ossa che si spezzavano.

"Il tempo ha un prezzo, Capitano" sussurrò la Mano, mentre sempre più persone si gettavano nel vuoto, feriti per mano propria.

Nel cuore e nella pietraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora