CAPITOLO 23

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M. Richiedei "La Ninna Nanna dei Segreti. Prima parte. La famiglia"

©GPM Edizioni GPM Edizioni Via Matteotti, 1120061 Grezzago (MI)tel 340 99 39 016vinfo@gpmedizioni.it Illustrazione in copertina da Pixabay.com Progetto copertina di ©GPM Servizi Editoriali

TUTTI I DIRITTI RISERVATI.

Questo libro è opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzione dell'autrice e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è puramente casuale.

«Pensa di pagarli di tasca sua gli straordinari dei tecnici della Scientifica e quelli degli uomini della sua squadra, commissario Romano?» il pubblico ministero batté il pugno sulla scrivania facendo sobbalzare l'ispettore Manenti che era rimasto davanti alla porta dell'ufficio rigorosamente chiusa.

«Perché? Lo Stato è in deficit fino a questo punto?» restò calma Camilla, accavallando le gambe sotto il tavolo, strette in un paio di pantaloni a vita alta.

«Non scherzi con me, commissario!» s'infuriò ancora di più il dottor Ricci Lorenzo. «Lei,» le puntò il dito indice contro, «doveva avvertirmi!»

«Non l'ho fatto? Manenti, non abbiamo telefonato in ufficio al dottore proprio lunedì mattina?» finse stupore.

«La sua segretaria mi ha riferito che lei sarebbe stato assente per un paio di giorni» s'intromise l'ispettore fulminando Camilla con gli occhi per non essere stato avvertito in tempo del gioco che voleva condurre non appena il pubblico ministero aveva messo piede al commissariato, dopo essere stato messo al corrente da chissà chi della riapertura del caso dello scheletro scoperto nella basilica di Santa Croce.

«Vede?» civettò Camilla mostrando le mani aperte e un sorrisetto sfacciato sulle labbra. «Avevo buone intenzioni, ma lei...»

«La mia assenza non le ha comunque dato il permesso ufficiale di spedire tre agenti a Villa Santa Maria a frugare fra i cespugli in cerca di una buca scavata un mese fa! Per trovare cosa, poi? Cosa?» batté l'ennesimo pugno sulla scrivania. Questa volta a sobbalzare fu sola la penna che lentamente cominciò a rotolare.

Camilla l'afferrò al volo prima che cadesse a terra.

«Ossa appartenute a uno scheletro sepolto lì trentasei anni fa?» rigirò la domanda.

«Che quei piccoli frammenti recuperati in quella buca appartengano a quello scheletro è ancora tutto da dimostrare!» le sputò in faccia il pubblico ministero. «Per me possono anche essere di un gatto o di un topo!»

«Cosa che l'antropologo forense sta facendo in questo esatto momento» addolcì ulteriormente il tono di voce Camilla, «e per la precisazione: le sue straordinarie non le pagherà nessuno perché sta facendo un piacere personale a me, non allo Stato.»

«Lei... lei...» balbettò il pubblico ministero sventolandole lo stesso dito sotto al naso.

«Sì?» sorrise ancora Camilla, ma trattenendo a stento la rabbia che le stava montando dentro come una cascata.

La notizia che la Scientifica aveva raggiunto Villa Santa Maria e lì si sarebbe trattenuta fino a che non avessero riportato a galla qualcosa aveva fatto il giro di Firenze prima ancora che i tecnici vestiti con le loro tute bianche si mettessero al lavoro. Alla ricerca di cosa questo non era dato a sapere a nessuno. In verità, neppure Camilla sapeva cosa avrebbe trovato in quella fossa, ma sperava di poter collegare l'ex convento allo scheletro ancora trattenuto all'Istituto di medicina legale come cimelio storico. I giornalisti erano sempre ai calcagni di ogni pattuglia che usciva dal commissariato, e quando scorgevano qualcosa di insolito traevano le loro conclusioni ancora prima di recuperare prove e informazioni certe. Da quella fossa scavata e poi ricoperta, per essere poi riaperta un mese prima e abbandonata alla mercé della vegetazione, erano stati sottratti alcuni frammenti di ossa che Camilla aveva consegnato nelle mani di Labate Claudio con la speranza che trovasse qualche collegamento con il Dna prelevato dallo scheletro. Erano solo piccole schegge di osso, molto simili a granelli di sabbia, ma almeno avevano in mano qualcosa per fare in modo che il caso venisse riaperto, le indagini seguissero il loro corso e giustizia fosse fatta, anche se in quella stanza era solo lei che ci credeva fermamente.

Anche la radice dell'Erica che era cresciuta fino a soffocare la fossa era stata recisa, così da permettere un possibile confronto con quella che Camilla e Manenti avevano prelevato dall'archivio della polizia, anche se ottenere un riscontro positivo avrebbe voluto dire essere miracolati dal cielo. Era trascorso un mese, e sarebbe stato impossibile riuscire a rintracciare la stessa radice che chi aveva riaperto la tomba improvvisata a Villa Santa Marta aveva strappato e lasciato sul cappotto che ancora rivestiva lo scheletro. I tecnici della Scientifica avevano anche prelevato il terriccio circostante, e Labate Claudio aveva spedito il materiale al Labanof a Milano chiedendo che fosse confrontato con quello prelevato dalle ossa. Mobilitare gli uomini e la Scientifica perché cercassero nei pressi dell'ex convento era stato un rischio che Camilla aveva accettato prima ancora che il pubblico ministero le fornisse il permesso. Permesso che comunque neppure si era sognata di chiedere, soprattutto dopo che era pronta a tentare l'impossibile. Soprattutto dopo che Manenti era riuscito a scoprire dagli archivi della polizia che, trentasei anni prima, certa suor Nunziata del convento di Santa Marta aveva denunciato la scomparsa della nipote Teodora che aveva ammesso essere alle dipendenze della famiglia Torrigiani con regolare contratto di tata da oltre tre anni e della quale, all'improvviso, non aveva più avuto alcuna notizia. Nella denuncia la monaca aveva chiarito che Teodora era apparsa all'improvviso una mattina di fine marzo e aveva chiesto alla zia di poterla ospitare al convento per qualche giorno mentre sistemava una faccenda, ma prima ancora che portasse le sue cose era sparita senza più fare ritorno. La polizia aveva indagato per qualche giorno, ma della ragazza non era stata trovata alcuna traccia. Quella stessa mattina, Manenti aveva raggiunto il convento e parlato con suor Nunziata che aveva dichiarato di non ricordare l'accaduto, ma che se Teodora non era spuntata fuori e la polizia non l'aveva trovata poteva dipendere dal fatto che su di lei erano girate voci strane di un'accusa per il furto di una collana di diamanti proprio da parte della famiglia Torrigiani.

«Probabilmente ha deciso di scappare senza neppure salutarmi» aveva concluso la suora.

Dall'archivio era stata anche recuperata una fotografia di Teodora che Camilla aveva consegnato all'antropologo forense perché fosse possibile eseguire una ricostruzione facciale utilizzando il cranio dello scheletro in modo da prendere in considerazione il fatto che apparteneva proprio alla tata scomparsa.

Le antenne di Camilla avevano cominciato a vibrare nello stesso momento in cui l'ispettore era entrato nel suo ufficio e l'aveva messa al corrente di ciò che aveva scoperto. Dunque, aveva deciso di mobilitarsi per andare a caccia della prima fossa dove Teodora aveva trascorso i trentasei anni successivi la sua morte. Aveva pochi elementi, per lo più informazioni trovate dall'amico Ermanno e carpite dai racconti della madre, ma era intenzionata a scoprire l'identità di quello scheletro, almeno scoprire se quella spilla era una chiara denuncia che la famiglia di Ida Arrigucci era sempre stata implicata nella scomparsa della tata o forse solo nella sua morte.

Perché una zia avrebbe dovuto denunciare la scomparsa di una nipote e poi a un tratto non era stata entusiasta di sapere che qualcuno si stava ancora occupando di lei, anche se erano trascorsi così tanti anni? Cosa sapeva e cosa stava cercando di nascondere?

Scoperto il doppio gioco del commissario, il dottor Ricci si era catapultato nel suo ufficio sbattendo le porte e inveendo contro di lei e i suoi metodi ancora prima di entrare nella stanza, soprattutto accusandola di aver agito dietro le sue spalle, cosa che effettivamente Camilla sapeva di aver fatto. Soprattutto di avere intenzione di sollevare un polverone che avrebbe soffocato non solo Firenze, ma anche la sua figura da pubblico ministero e la polizia, per non parlare della famiglia Torrigiani. Che diritto aveva lei di indagare su un caso chiuso e archiviato senza alcuna prova in mano? Cosa poteva significare una spilla simile a quella che i domestici di Ida Arrigucci erano costretti a indossare? Il cappotto indossato dallo scheletro poteva esser stato rubato proprio alla tata, oppure solo la spilla.

LA NINNA NANNA DEI SEGRETIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora