Forse il problema di Jimin era quello. Il fatto che, nonostante tutto l'odio che portava dentro, la rabbia, il risentimento, il dolore, continuava a mancargli un qualcosa che era ormai finito. Forse era la poca autoconservazione, il masochismo marcato, un sentimento di autodistruzione che lo spingevano a rimuginare e ripensare alle cose che lo avevano ferito per starci male ancora, ancora e ancora, fino a che non ce la faceva più a stare immerso nella tristezza e doveva risalire per prendere fiato. Era come quando, da bambino, faceva uscire tutta l'aria dai polmoni fino a che non toccava le piastrelle della piscina, solo per vedere il cielo da una prospettiva diversa. Una sensazione di panico quasi tenue, come se sapesse di star per finire l'ossigeno e ne fosse disinteressato.
Era una danza di odio e amore, mancanza e passione. Era un gioco che non si stancava di fare, in bilico fra l'esserne distrutto e quasi trarne piacere. Un modo in cui si ricordava che qualunque cosa bella aveva fine ed era destinata ad arrivarci, in un modo o nell'altro, volente o nolente.
E così, raggomitolato sul suo letto, le mani strette al petto, l'una dentro l'altra come avessero paura di perdersi se distanti, non faceva altro che rimuginare e rimpiangere. I pensieri di odio si confondevano con la voglia di abbandonare tutto e lasciare che Yoongi si avvicinasse, mentre un'altra parte di lui voleva solo che il moro chiarisse, chiarisse ogni cosa, gli dicesse che aveva sbagliato e potessero tornare a com'erano prima.
Ma erano due persone diverse. E i pezzi dei loro puzzle, prima così affini, sembravano essere ora levigati, cambiati dal tempo, dalla lontananza, dal silenzio. E così, le lacrime che cercavano di scappare all'abbraccio delle iridi, si dedicò a tentare di dormire.
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La mattina seguente fu un disastro. Gli sembrava di essere stato messo sotto da un tir, era stanco, irritato e aveva alle spalle una notte insonne. I suoi capelli non davano segni di voler collaborare, aveva grosse occhiaie sotto gli occhi e un sapore amaro e disgustoso in bocca, come fosse sul punto di vomitare. L'aria fredda del mattino peggiorò il suo umore e gli tinse il naso di rosso. Il cammino verso la scuola fu silenzioso, le cuffie infilate nelle orecchie silenti, quasi spaventate dal poter disturbare ancora la sua psiche. Quando passò vicino al gruppo di Min Yoongi, accelerò leggermente e fece finta di non vedere le occhiate che si girarono nella sua direzione. Non poté non notare che il moro stesso, però, non aveva neanche alzato lo sguardo dal telefono nelle sue mani.
Forse si era scocciato. Forse il fatto che Jimin gli aveva detto la verità in faccia lo aveva ferito. Forse aveva deciso di smettere di corrergli dietro. Se da una parte la prospettiva lo faceva sospirare di sollievo, dall'altra una punta di confusione si mescolava al resto dei suoi pensieri e li tingeva di grigio. Era perché non gli si era gettato ai piedi? Non che non ci avesse mai pensato, ma rimaneva una cosa che non aveva mai fatto. Era perché aveva rivangato vecchi ricordi? Ma Yoongi era colui da incolpare per tutto quello che era successo fra loro. Era perché non gli aveva detto di credergli? Ma chi era Yoongi per giudicare? Jimin scosse via i pensieri dalla testa, scuotendola leggermente.
Passò la giornata a convincersi del fatto che fosse comunque colpa di Yoongi, alla fine, e che al massimo avrebbe potuto essere meno diretto con il modo in cui glielo aveva detto. Però, di nuovo, cosa c'era di sbagliato nella sua accusa? Non era per caso così che erano andate le cose? Di conseguenza, Jimin rimuginò e rigirò la situazione nella mente come un cubo di Rubik, analizzando ogni prospettiva e cambiando punto di vista per capire ciò che poteva star pensando il moro.
La sua ultima classe finiva di pomeriggio, quando il resto della scuola era quasi deserta, spoglia del chiacchiericcio di fondo che la rendeva un po' meno triste e un po' meno vuota. Il cielo, di un arancione sporco di nero, sembrava portare pioggia quella notte. Jimin si sentiva allo stesso modo. Calandosi nella sua giacca e affondando nella sciarpa, si diresse fuori dalla classe con calma, sapendo che la sua destinazione era il divano di casa sua, un film a caso sulla televisione e un peluche da stringere su cui riversare i problemi. Era l'ultimo ad uscire dalla stanza e quasi non notò una figura sulla sua destra quando varcò la soglia. Se non avesse alzato lo sguardo dal suo telefono, sarebbe stato un ammasso nero non identificato. E invece, sotto un cappello nero con la visiera che quasi gli nascondeva gli occhi e dei vestiti scuri, quasi semplici rispetto al suo solito, Min Yoongi aspettava, una gamba incrociata all'altra e la spalla premuta sul muro.
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heartthrob
Fanfiction𝖒𝖎𝖓 𝖞𝖔𝖔𝖓𝖌𝖎 + 𝖕𝖆𝖗𝖐 𝖏𝖎𝖒𝖎𝖓 Non ci vuole un genio a capire perché l'intera scuola sbavi dietro Min Yoongi, a questo arriva anche Jimin. Sarà lo stile da fuckboy, il fatto che abbia quei piercings agganciati alla pelle, i capelli sbara...