23 aprile 1934, Napoli
VOLUTE MUSICALI s'avvitano nell'aria, rincorrendosi sotto i cieli barocchi affrescati sugli alti soffitti. Tra cornici floreali, come false finestre aperte sulla sala da ballo, si spalancano specchi che riecheggiano all'infinito il chiassoso concerto d'oro, cristalli e marmi tutt'attorno. A muoversi sulla superficie lucida, un mosaico ondeggiante e variopinto d'abiti dalle fogge più svariate.Ricciardi accetta una flûte di champagne da un cameriere di passaggio. Ne beve un piccolo sorso che gli pizzica il palato, più per mascherar lo sguardo che per gusto. Rimane quasi addossato alla parete, una macchia scura e affatto discreta sui fregi arabescati della carta da parati azzurrognola.
Attorno a lui, la piccola folla di invitati gli preme addosso, asfissiante come il completo da sera e il farfallino che s'è obbligato a indossare. Era su misura, ma la giacca gli va ora un poco larga di spalle e ha dovuto tirar le bretelle di una tacca. Il braccio ancora bloccato dal tutore, nel suo attirare sguardi incuriositi al pari della tumefazione ormai quasi rimarginata in viso, di cui scorge l'alone violaceo nello specchio, svia l'attenzione dal suo deperimento.
Rigira il sottile stelo attorcigliato tra le dita lasciate libere dal gesso. Si ritrova a mordicchiare l'interno della guancia mentre concede sorrisi di cortesia e strette di mano apatiche ai volti sconosciuti che gli sfilano attorno. Ha la sgradevole impressione che tutti sappiano chi sia, mentre lui fatica a dare un nome e un'identità alla maggior parte di loro.
Avrebbe, forse, dovuto prestare più orecchio alla panoramica introduttiva sugli esponenti di Partito offertagli dal funzionario Zanardini tempo addietro. Lui non s'è fatto vivo all'evento, da quanto ha potuto notare sinora.
Ha solo intravisto il vicequestore Garzo e consorte, poco prima, e s'è tenuto ben distante da quell'angolo del salone. Non avverte, almeno, gli occhi inquisitori che teme di sentir pungere tra le scapole ogni volta che gira il capo.
Una stretta lieve gli cinge il braccio sano e, dopo un repentino ronzio di nervi tesi nel sentirsi afferrare, si rilassa quando incrocia le iridi castane puntate nelle sue.
«Livia.» Lo esala con sollievo e non si cura di celarlo. «Ti ho cercata.»
Lei gli regala uno dei suoi sorrisi caldi, accentuati dai rossetti d'un barolo profondo che usa; i suoi occhi, però, rimangono mobili e schivi sotto le ciglia bistrate.
«Lo so.» Inclina il capo e una ciocca mora sfugge all'elaborata acconciatura, quasi un ricamo d'onde mosse e intrecciate, sfiorando il lungo abito color ambra che indossa. «Mi sembravi in affanno e, per quanto fosse uno spettacolo piuttosto divertente, ho deciso di venirti in soccorso.»
Riesce a scucirgli un lieve inclinarsi di labbra.
«Molto gentile, da parte tua.» Si schiarisce sottovoce la gola. «Loro sono arrivati?»
«Sempre dritto al punto, Ricciardi. Potremmo goderci un po' la serata, almeno.»
«Perché, tu riesci a farlo?»
«Mi sto impegnando, visto che potrebbe essere una delle ultime serate in libertà che mi sono concesse. Dubito che un consorte tedesco sarebbe più permissivo di uno italiano, in merito.»
Gli occhi di Ricciardi scivolano sull'apertura a goccia del vestito che le scopre quasi per intero la schiena, con un'audacia che s'abbina bene a quella che le accende spesso lo sguardo.
«Dipende dal consorte.»
«Non sto parlando di te.» Il sorriso s'inclina di una tacca giocosa e triste al contempo. «Purtroppo.»
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La Ruota degli Angeli
Mistério / SuspenseNapoli, 1934. Il commissario Ricciardi è alle prese con un delitto come tanti, almeno per lui che è abituato a vedere i fantasmi delle vittime con i propri occhi. Una rapina finita male, con dei dettagli che, però, non tornano. Non tornano né a lui...