•XVI•

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La scalinata a chiocciola che lo riportò ai piani alti dell'inferno fu più lunga del previsto.
Aveva incontrato parecchi demoni che scendevano per dare il cambio della guardia e quasi ognuno di loro gli aveva chiesto cosa stesse facendo lì.
Probabilmente quelli “nuovi” provavano più curiosità degli altri, si disse. E probabilmente era troppo sperare che il ritorno fosse tranquillo come l'andata.
Si era inventato una scusa diversa per tutti loro: aveva fatto un turno di prova come guardia, aveva portato una nuova spada per qualche idiota che era riuscito a perderla, era andato a vedere come se la passavano i dannati.
Alla fine degli scalini, se lo si fosse chiesto a tutti quei demoni, nessuno di loro avrebbe dato una risposta uguale. Praticamente l'obiettivo era stato raggiunto.

Arrivato nella piccola sala che dava l'accesso a tutte le diverse scale a chiocciola dei vari gironi, senza preavviso alcuno, una secchiata di acqua gelata gli si versò in testa.
Una voce metallica uscì da un altoparlante vicino, informandolo che la prassi provvedeva un rapido lavaggio dai fanghi dello Stige. Dopodiché, la stessa voce gli augurò una buona giornata e con un fischio si spense.
Idilliaco, davvero. E quell'acqua non era nemmeno riuscita a lavargli via la fanghiglia dalle scarpe, tantomeno l'olio tra i capelli.
Forse doveva ricredersi: l'invenzione più stupida dell'inferno non erano state le impervie vie d'accesso per i gironi, ma il barbaro servizio igienico.

Circumnavigò la scrivania di Furfur senza calcolarlo minimamente e uscì dagli uffici di smistamento abbastanza infastidito da tutto quel casino.
Si immise nel flusso di demoni e raggiunse l'ascensore come se da quello dipendesse la sua intera vita. Forse, se l'inferno avesse saputo i suoi veri piani, quella frase non sarebbe neanche stata totalmente sbagliata.

Schioccò le dita ed entrò nell'ascensore a braccia incrociate, aspettando che questo iniziasse a salire.
Intanto con un paio di piccoli miracoli si levò di dosso l'umido e aggiustò lo squarcio nei vestiti.
Aveva una certa reputazione da tenere a Soho, andiamo.

•••

Quando Muriel sentì tintinnare la campanella della porta d'ingresso della libreria inizialmente alzò gli occhi al cielo.
Le dispiaceva sempre dover dire a qualche persona interessata che non aveva il permesso di vendere la merce esposta. Si ritrovava sempre imbarazzata e non sapeva mai davvero cosa dire.
In quei giorni, poi, si era impegnata davvero tanto a sistemare gli scaffali, spolverandoli uno a uno, e i clienti entravano sempre quando lei si stava dando da fare. Sembrava che l’assenza di Crowley desse qualche speranza ai potenziali compratori.
Quello fu il motivo per il quale inizialmente non riuscì a fare a meno di lasciar perdere la cosa, senza andare a vedere chi fosse appena entrato.
Magari se lei fosse rimasta nascosta da qualche parte la persona in questione se me sarebbe andata pensando che il proprietario del negozio non ci fosse.

«Muriel?»
Chiese Crowley, fermo al centro della sala.

«Signor Crowley!»

E lei finalmente spuntò dal piccolo corridoio che divideva due librerie, con un grande sorriso in volto.

«Ho pensato che non saresti tornato verso il terzo giorno, e poi eccoti spuntare al quinto!»

Oh, magnifico, quindi era stato via per una quantità di tempo più o meno doppia a quello che aveva pensato.
Veramente fastidiosa come cosa.

In ogni caso le sorrise, abbandonandosi sulla poltrona. Infilò la mano in tasca e ne estrasse pergamena e ampolla.

Sembrava passato un secolo da quando era stato in paradiso l'ultima volta. Invece l'ultimo incontro con Aziraphale era avvenuto nemmeno una settimana prima.
Ripensò a come l'avesse ferito sentirlo parlare in quel modo e vederlo puntargli una spada addosso, ma tutto ciò non fece altro che dargli la carica per tornare a riprenderselo.
Probabilmente avrebbero lottato, lo sapeva.
Sarebbe stato inevitabile.

C'erano voluti seimila anni a convincerlo che potevano chiamarsi amici a vicenda e senza quell'infinito tempo di ricordi a avventure vissute uno a fianco all'altro, sapeva che Aziraphale non avrebbe accettato di parlargli civilmente e farsi mettere in testa del liquido nero da un demone.
D'altronde, nemmeno lui lo avrebbe mai fatto. Non lo giudicava per quello, ma da una parte voleva soltanto riavere il suo miglior amico.
In quel momento avrebbe fatto a meno dei sentimenti, davvero. Avrebbe represso qualsiasi impulso di tenerlo stretto e baciarlo se ciò avesse significato poter continuare a venire a trovarlo in libreria per accompagnarlo al Ritz con la Bentley. Si sentiva troppo solo senza di lui e semplicemente gli mancava il suo compagno di una vita. O in quel caso, di un'eternità.

Sospirò, togliendo gli occhiali e lasciandoli sulla propria coscia mentre osservava gli ultimi raggi di quel sole aranciato scomparire dietro gli edifici.

•••

Aziraphale in realtà aveva pensato a quell'incontro più di quanto avesse voluto.
Le parole del demone continuavano a girargli in testa senza che riuscisse mai a capire cosa volesse dire.

Troverò ciò che mi serve per salvarti, lo prometto.

No, non poteva avere un senso.
Era un angelo, stava dalla parte del bene, da cosa avrebbe dovuto mai salvarlo un demone? Che pericolo poteva esserci per un angelo che non provenisse da un demone stesso?

A volte si convinceva che fosse semplicemente una scusa.
Qualcosa di detto a casaccio per avere il tempo di fuggire e farla franca.

Poi però gli tornavano in mente gli occhi tristi che aveva avuto il rosso mentre gli si avvicinava.
Si chiedeva cosa mai dovesse venire a cercare un demone in paradiso rischiando la propria vita senza mai trovare una risposta.
Gli era stato detto che non aveva sottratto nulla durante la sua permanenza. Era entrato e uscito, per quanto ne sapeva.
Poi lo aveva incontrato, lo aveva abbracciato ed era tornato via.

Doveva esserci qualcosa che gli sfuggiva, anche se non riusciva a capire cosa.

𝘞𝘪𝘯𝘨𝘴 𝘰𝘧 𝘋𝘢𝘳𝘬𝘯𝘦𝘴𝘴, 𝘏𝘦𝘢𝘳𝘵𝘴 𝘰𝘧 𝘓𝘪𝘨𝘩𝘵  |Good Omens|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora