-⋆.ೃ࿔*:・ Capitolo 20

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MANUEL

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MANUEL.
"When I'm down you know how to lift me up.
From the ground, through the clouds, to the sun.
Tell me, how did I ever find you, babe?
Tell me now that you're never gonna run."
The Neighbourhood, Heaven.

«Salendo a destra avete i primi artefatti, proseguite seguendo le frecce per arrivare agli ultimi ritrovamenti archeologici,» spiega l'addetto all'accoglienza, stirandosi la giacca sfarzosa. La sua attenzione è rivolta ad Andrèj quando parla. Nonostante l'utilizzo del plurale, sembra non far caso a me: sono abituato a essere ignorato, ma ciò non significa che mi piaccia.

«Procedete sempre leggendo i segnali, indicano il periodo storico affrontato nelle diverse sale.»

Il museo che ci si presenta davanti è accogliente, espansivo e pieno di statue all'ingresso che sembrano replicare le espressioni stoiche dei dipendenti. Sono tutti macchine robotiche che incassano, controllano i documenti e muovono le mani nella direzione corretta. Tutti tranne il ragazzo che parla con noi.

Ha capelli castani quasi rasati, uno sguardo compiaciuto e gli zigomi alti, accompagnati da una cravatta stretta troppo saldamente al collo. Ruota il documento di Andrèj tra le mani, scrutandolo intensamente.
Insomma, è lui. Non è mica un clone quello sulla carta d'identità: non penso ci sia bisogno di guardarlo così tanto per accertarsene.

Gli occhi mi ricadono sull'etichetta appesa al taschino della sua giacca, dove viene segnalato il suo nome per facilitare il contatto con le persone.
Rubian Ferreri. Che nome di merda, onestamente.

«Possiamo riavere i documenti?»chiedo con uno sbuffo, incurvando un sopracciglio mentre lo sguardo di Rubian si sposta su di me, squadrandomi.
Li adagia sulla scrivania, annuendo. «Prego.»

Andrèj si sistema il marsupio dietro la schiena, e toglie la custodia della sua macchina fotografica per iniziare a scattare le foto. Indossa un bomber jacket blu, con maglietta bianca, e pantaloni larghi che richiamano ad un po' più di eleganza rispetto ai soliti indumenti sportivi. Forse è la giornata di sole che aiuta, ma il colore dei suoi occhi è anche notevolmente accentuato.

Rubian gli si avvicina con dei fogli rettangolari tra le dita, ma Andrèj è troppo impegnato a raddrizzarsi per notarlo. «Qui ci sono le brochure se vol—»
«Grazie, ma ce la caviamo senza,» gli mostro un sorriso sardonico, espandendo una mano per fermarlo dallo sporgersi oltre e importunare Andrèj.

Odio quando la gente pensa di poter toccare gli altri, e mi darebbe fastidio se le sue dita messe chissà dove dovessero posarsi sul braccio di Andrèj, perché so che potrebbe metterlo a disagio. Non lo conosci neanche, alzo gli occhi al soffitto.
Lui mi guarda per qualche secondo, sbatte le palpebre e trae un sospiro. Un falso sorriso a trentadue denti gli spacca il muso. «Buona visita,» dichiara atono. Torna dietro la scrivania lanciandomi un'occhiata gelida, e riprende il suo lavoro robotizzato.

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