ੈ✩‧₊˚Capitolo 40

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ANDRÈJ

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ANDRÈJ.
"Quanto più esteso è il tempo
che ci siamo lasciati alle spalle,
tanto più irresistibile è la voce
che ci invita al ritorno."
—Milan Kundera, L'ignoranza.

༊·˚˚
"Heard they talking shit 'bout I,
Who, what, when and why?
I'm alive, just took one to revive.
Keep that vibe
when we show up and collide."
—Who? What!
Travis Scott.


«Andrèj? So che sei qui.»
La voce di mio papà mi fa sussultare. Spingo le ginocchia contro la pancia, chiuso dentro l'armadio buio. «Voglio stare solo,» biascico. «Vai via.»

Gli occhi mi bruciano tanto perché ho pianto, ma non so se è per la tristezza o per la rabbia. Di recente non riesco a capire le mie stesse emozioni, e mi infastidisce molto. Reagisco spesso in modo aggressivo. Mi sento... scoppiare dentro.
Come un palloncino.

Sento un sospiro, e mio papà tamburella le sue nocche contro la porta di legno. «Allora ti aspetto qui finché non esci.»
Lo sento accomodarsi sul pavimento, sfogliare un libro mentre si posiziona davanti l'armadio, determinato a non spostarsi.

Ho preso l'autobus per tornare a casa, subito dopo la scuola, come faccio quando papà è impegnato a lavoro e non può venirmi a prendere. Mi sono nascosto prima che potesse vedermi. Zio Bojan, che è tornato da Praga la scorsa settimana, era a casa da molto, e deve aver riferito a papà le condizioni in cui sono rientrato, perché adesso lui è qui.

Tiro su con il naso, cercando di fermare i singhiozzi che mi scuotono il corpo.
Forse passano dieci minuti. Mi si prosciugano le lacrime, e anche se mi strofino gli occhi il bruciore non si allevia.
Papà è ancora qui.
Mi mordo un labbro e spalanco la porta, accasciandomi al suo fianco, stanco.

«Che cos'è successo a scuola?» chiede, trattenendomi il viso tra le mani per ispezionare ogni dettaglio.
Alzo le spalle. Non ho bisogno di specificare niente, no? La cattiveria dei miei compagni è evidente.

Papà mi sfiora una ciocca di capelli rattristato, e la sua tristezza fa male anche a me. «Andry,» mi supplica con gli occhi che perlustrano la mia faccia, increduli. «Se non mi parli non posso aiutarti. Qualcuno ti prende in giro?»

Mi tremano le labbra. Annuisco, asciugandomi il naso. «Mi hanno tagliato i capelli.»
Due bambini oggi mi hanno seguito in bagno con un paio di forbici. Dicevano che i miei ricci sono brutti, che sono troppo lunghi e sembro una femminuccia. Mi hanno afferrato il collo, strattonato finché non ho sbattuto al muro. Poi hanno iniziato a tagliare rozzamente, ridendo mentre i miei ricci biondi ricadevano al pavimento.
Papà si irrigidisce. «Perché si comportano così?»

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