-ੈ✩‧₊˚Capitolo 2

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ANDRÈJ

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ANDRÈJ.
"Perché avere costantemente due volti è una cosa sfibrante: per quanto tempo ancora ne sarò capace?
Verrà un giorno in cui avrò un volto solo."
Milan Kundera, L'identità.


Un violento, persistente picchiettio contro il vetro della mia finestra mi distoglie dalla lettura. Sospirando a causa dell'ennesima interruzione del mio individualismo positivo, a cui tengo particolarmente, caccio un segnalibro tra le pagine del volume in mio possesso e lo scaravento di fianco a me sulle coperte.

Con il corso degli anni, la perdita di mio papà è diventata un dolore secondario ma pur sempre ricorrente. Non passo più le mie giornate a piangere, rintanato tra le cornici d'argento della foto sulla sua lapide e la terra grezza sottostante; ormai ripenso ai tempi passati insieme con un sorriso nostalgico che mi accarezza le labbra.

Eppure il cordoglio è un'arma a doppio taglio. Meno la sua intensità si dimostra esternamente, più infierisce sulle condizioni psicologiche di un individuo. Ammetto che ho passato brutti periodi a causa del mio carattere chiuso e difficilmente comprensibile da agenti esterni, e qualsiasi segno di vitalità che possedevo precedentemente si è mischiato con il grigiore portato dalla morte di mio papà.

Al suo funerale, le poche persone presentatosi continuavano a soffermarsi sul mio viso distrutto, a garantirmi che sarebbe andato tutto bene, che ci voleva tempo per superare quel dolore. Avevano ragione solo in parte; non si smette mai di soffrire quando muore un genitore, e nel mio caso, che ne avevo persi due a distanza di qualche anno, la situazione era ancora più struggente. La mia tutrice legale divenne mia zia paterna, cui lineamenti così somiglianti al fratello, mio padre, sicuramente non contribuirono a distogliermi dal ricordo di lui.

A volte mi guardavo allo specchio e odiavo il mio riflesso poiché, tralasciando le fossette che in maniera sporadica comparivano ai lati della mia bocca, non avevo niente che riconducesse alla memoria di mio padre. Avevo preso tutto da mia mamma, ero la sua fotocopia.
Indubbiamente ciò affliggeva mio papà continuamente. Lo avevo torturato, ero il suo flagello perché gliela ricordavo in ogni momento—la donna che aveva amato era morta, lasciando dietro il figlio che portava i suoi stessi lineamenti, e non poteva scappare dal destino di rivederla tramite me.

Me l'ero sempre domandato, per quale losco motivo la vita avesse deciso di crearmi come per mezzo della carta carbone per assomigliare interamente a mia mamma e avere nessun tratto di mio papà. Durante quei primi anni che seguirono la perdita di quest ultimo, mi rese tranquillo la realizzazione che forse era meglio così, che avrei sofferto maggiormente se avessi potuto scogliere il riflesso di mio papà nei miei occhi o in un sorriso.

Ho continuato ad onorare il suo ricordo tramite la lettura; mi sono appassionato anche io ai classici, effettivamente la mela non cade mai lontano dall'albero, ma a differenza di mio papà, troppo classicista per voltare il capo verso altri generi, io molto spesso non mi tedio dall'acquistare libri più 'moderni' per così dire. I classici purtroppo—non tutti, ma molti—richiedono infinita pazienza e concentrazione, soprattutto durante i primi capitoli, e per un ragazzo come me che di attenzione ne ha di limitata, i libri rappresentano una sorgente di conforto. Sarà una stregoneria, ma i miei pensieri si disintegrano non appena accarezzo le parole con lo sguardo.

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