-ੈ✩‧₊˚Preludio

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ANDRÈJ

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ANDRÈJ.
"E nemmeno le tenebre notturne mi opprimono
più, perché ho te, mia luce."
—Apuleio, La favola di Amore e Psiche.

 

Pioveva quella notte.
Amavo la pioggia poiché mi calmava i pensieri; come una sinfonia mielosa, si agganciava alle pareti del mio cranio e spingeva abbastanza forte da equilibrare i cavi sparsi per la mia mente, in modo che i miei pensieri fossero pacifici, conformi.

   Udendo l'incessante battere delle cristalline gocce d'acqua sul vetro della finestra, ritrovavo la pace necessaria a spegnere completamente il mio cervello. Correvo in cucina a bollire l'acqua, immergevo una bustina di tè inglese nella mia tazza bianco panna dai delicati motivi barocchi acquistata allo shop di un museo, e mi posizionavo sul divano, a gambe incrociate, lo sguardo compiaciuto fisso fuori dalla finestra.

   Era in quei momenti di beata solitudine che mio papà proferiva il suo affetto; eravamo legati dall'amore per la pioggia, e il suo ricordo irraggia nitido attraverso le mie iridi ogni volta che scorgo le nuvole nel cielo pronte a rigettare l'acqua violentemente.

   Quella notte di novembre ero finalmente tranquillo per svariate ragioni. La prima era a causa del mese segnato dal calendario, poiché fin da quando avevo imparato che la stagione delle piogge era—abitualmente—di novembre, avevo scoperto una passione certamente condizionata verso quel mese dai caratteri uggiosi. La seconda ragione trovava conforto nella mia venerazione per il temporale che era scoppiato, e mi trovavo diviso da esso semplicemente grazie ai muri che sostenevano la mia abitazione.
   Non sapevo che quella notte sarebbe diventata un ricordo del mio cordoglio; la vita ti coglie di sorpresa nei momenti in cui tutto pare calmo. È insipida, ti strappa i vestiti per poi sciagurati il corpo tramite la memoria.

  Vorrei soffermarmi su quel momento avvolto nel tempo, ascoltare il battito della pioggia senza stringere i pugni dalla rabbia. Per una volta, desidero poter tornare bambino.

  Era l'8 novembre del 2016, la vigilia del mio decimo compleanno, e il temporale era arrivato come un'ombra improvvisa a lenire l'oscurità del tardo pomeriggio autunnale dai motivi freddi e angusti.

  La testa di papà sbucò dal corridoio, i suoi ricci color caramello rossastro mischiati ad abili fili argentei che marcavano il passare degli anni e la coltivazione della sua saggezza. Papà si muoveva come bloccato fra due mondi paralleli di cui lui era il collante.
Se da un lato la sua caparbietà lo spronava a librarsi nel cielo e nel mondo con agilità, conoscendo gli angoli di qualsiasi posto meglio delle sue tasche, dall'altro non era un conformista, non si adattava interamente alle aspettative della nostra realtà.
  Amava più di quanto il suo cuore potesse sorreggere, e non si tediava mai di aiutare il prossimo, dimostrando la sua vulnerabilità senza vergogna, insegnando a non perdere mai il contatto con il nostro Io interiore.

The Night We MetDove le storie prendono vita. Scoprilo ora