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«Devi mangiare, Selene».

Selene si trovava sdraiata sul letto, a fissare il soffitto del baldacchino, mentre Missah si allungava per passarle un piatto con una fetta di carne e carote.

«Basta», borbottò.

Missah sospirò profondamente. «Non si discute, e non me ne andrò finché non avrai terminato tutto quello che c'è in questo piatto».

Con uno sbuffo, Selene si sedette, facendosi forza con le braccia. Anche un semplice movimento richiedeva troppa energia che non aveva. Sapeva che era dovuto al fatto che non mangiava, ma non solo per quello. Era il marchio che le stava sottraendo ogni residua forza.
Appoggiata alla testiera del letto, afferrò il piatto con le mani tremanti. Provò a non toccarlo con la mano sinistra, usando solo le dita, ma era difficile. Era ancora rovente.
L'odore la colpì immediatamente e le venne da vomitare.

«Non ce la faccio», disse con una smorfia, cercando di restituire il piatto a Missah.

«Sì, invece».

Le tirò un'occhiata triste, ma il Demone non cedette. I suoi occhi rimasero fissi e autorevoli.
Selene si arrese con riluttanza e afferrò la forchetta tra le dita, cercando di prendere il pezzo di carne. Non appena il suo sapore forte e speziato colpì il suo palato, sentì l'impulso di vomitare.
Posò subito il piatto sul vassoio, pronta a rigettare tutto, ma per fortuna non ne venne nulla.

«Non riesco», disse con voce incrinata.

«Forse dovresti provare qualcosa di meno condito», suggerì.

Prese il pane e ne spezzò un pezzettino, poi glielo porse.

Lo prese tra le mani e lo infilò rapidamente in bocca. Masticò lentamente, sentendo il suo sapore delicato riempire la sua bocca e, fortunatamente, non le provocò disgusto.

Missah sorrise soddisfatta e spezzò un altro pezzo, continuando finché non glielo passò intero.
«Ti senti un po' meglio?»

Selene annuì. «Per quel che vale», mormorò, masticando un altro po' di pane.

Missah la guardò in silenzio, con un velo di pietà negli occhi. «Come stai?»

Ingoiò il pezzo di pane e la guardò con occhi tristi. «Come credi che stia?» sbottò infastidita.
Missah capì che era arrabbiata, non solo con Damyan ma anche con lei, per non averla aiutata. Tuttavia, sapeva che era in una posizione difficile, obbligata a obbedire agli ordini del suo creatore.

Fu per questo motivo che lei rimase in silenzio, accettando la sua rabbia con pazienza.

«Posso?» indicò con un cenno del capo la mano marchiata.

Selene annuì di nuovo, sapendo che se avesse voluto avrebbe potuto avvicinarsi senza nemmeno chiedermelo. Missah si avvicinò e si sedette accanto ai suoi piedi, scrutando con attenzione la sua pelle, proprio come aveva fatto Reyn il giorno prima.

«Sta migliorando», mormorò, girando leggermente la mano. «Presto il gonfiore diminuirà e il sangue si cicatrizzerà, lasciando che il simbolo diventi più nitido».

Le sue parole raggiunsero le orecchie di Selene, ma la sua mente era in preda ai ricordi e ai dolori del passato. Non le interessava sapere che il simbolo si sarebbe visto più chiaramente. Non le interessava niente. Voleva solo cancellare tutto quello che le era capitato, voleva non essere mai nata.

Missah lasciò andare la sua mano, posandola delicatamente sul materasso. «Mi dispiace».

Selene la guardò con occhi scrutatori. Non riusciva a capire se la sua gentilezza fosse genuina o se, come tanti altri, stesse recitando una parte per renderla più malleabile. Ma non poteva negare che, nonostante tutto, Missah era stata l'unica a trattarla con un briciolo di umanità in quel posto orribile. L'aveva curata, l'aveva trattata con dignità, anche se era evidente che la sua devozione apparteneva al Dio.

La Guerra degli Dei - La Prescelta Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora