La Paralisi

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LA PARALISI

Avevo diciotto anni quando cominciai a soffrire di paralisi ipnagogiche. E' molto semplice: ti svegli nel cuore della notte, ma il tuo cervello dimentica di riprendere il controllo dei muscoli. Sei sveglio, ma il tuo corpo sta ancora dormendo. E' come il classico incubo in cui non puoi muoverti, vuoi gridare ma non ci riesci, e hai paura. Non sai da cosa, ma sei terrorizzato. E, mentalmente, del tutto sveglio, sai che non stai sognando. Il processo di sonno-veglia va in tilt, e il cervello ormai sveglio ricomincia a sognare: Allucinazioni. Poi, passa da sé, e ti ritrovi perfettamente sveglio e padrone del tuo corpo. Cominciò a succedermi sempre più spesso, a volte mi sembrava di trascinarmi con una fatica enorme fuori dal letto, cercando di raggiungere l'interruttore della luce, altre volte sentivo delle voci, vedevo distintamente delle ombre. E' un incubo ad occhi aperti.

Ai tempi dell'università, vivevo in un appartamento preso in affitto con altri due studenti, in una vecchia palazzina. Pochi mesi dopo il trasloco, ebbi la paralisi più vivida e movimentata che mi sia mai capitata.

Sveglia. Sono sveglia? Non riesco a muovermi. E' notte... la luce del lampione. Lì c'è la finestra, sì. Sulla parete di fronte a me una vecchia foto incorniciata... sì, sono nella mia stanza. Ho freddo. Sento qualcuno respirare ai piedi del mio letto... allucinazione. Sto avendo un'allucinazione. Calma, stai calma. Ora passa, devi solo respirare. Respira. Ora ti svegli, stai calma, chi vuoi che ci sia nella tua stanza? E' un'allucinazione.

Il rantolo ai piedi del mio letto prese a farsi sempre più pesante. Cominciò a sembrarmi quasi una risata, soffocata, spettrale. Improvvisamente sentii muoversi il materasso, e lui mi fu addosso. La luce di un lampione entrava dalla finestra e mi permise di vederne i capelli biondi, un antiquato taglio di capelli con la sfumatura, e una giacca di velluto chiaro. Stava in ginocchio sopra di me, ghignava insopportabilmente e cercava di afferrarmi i polsi sotto le lenzuola. Non potevo respingerlo, non potevo muovermi, non riuscivo a gridare, avevo completamente perso il controllo dei miei pensieri ed ero nel panico più terrificante. L'uomo buttò indietro la testa, con quel ghigno insopportabile, e alla luce del lampione vidi un volto ossuto, teso, butterato da cicatrici di acne, gli occhi azzurri, chiarissimi, quasi trasparenti. Scoppiò in una risata disgustosa, e finalmente mi svegliai.

Erano le quattro del mattino, e non sarei mai riuscita a riprendere sonno. Mi alzai dal letto e uscii dalla mia stanza. Passando nel corridoio, vidi la luce accesa filtrare sotto la porta del soggiorno. Il mio coinquilino stava ancora studiando per un esame che avrebbe avuto di lì a pochi giorni, mi sedetti con lui a fumare una sigaretta e gli raccontai il mio "sogno", poi tornai a letto.

Dopo qualche mese, conobbi quello che sarebbe diventato il mio ragazzo. Lo incontrai alla tabaccheria sotto casa, viveva nel palazzo di fronte. Una sera, lo invitai a salire in casa. Mi accorsi che si guardava intorno con una strana espressione, e gli chiesi il perché. Mi raccontò che era già stato in quell'appartamento, quando era piccolo sua madre lo lasciava spesso alla signora che ci viveva perché lo tenesse d'occhio. Ricordava bene l'anziana signora, che si era da tempo trasferita in una casa di riposo, ma aveva solo un vago ricordo del figlio che viveva con lei. Mi disse che era morto molti anni prima, e nonostante sua madre fosse un'ottima persona, era sempre stato una specie di delinquente. I bambini del quartiere avevano paura di lui, e lui si divertiva a spaventarli. Di lui, ricordava solo lo sguardo vuoto, gelido, quegli occhi azzurri quasi trasparenti, e cattivi...

Avertii un brivido lungo la schiena, e gli chiesi di raccontarmi di lui. Scrollando le spalle, mi disse che era morto di overdose alla fine degli anni '80, e non ricordava altro. Gli chiesi allora di descrivermelo.

"Mah, sai. Era molto alto, magro come uno scheletro. Sai, l'eroina... Aveva i capelli chiari, questi occhi di ghiaccio che facevano paura... non l'ho mai visto sorridere. Ci provava, ma non sorrideva davvero."

"Ghignava?"

"Sì, aveva questo sorriso teso, proprio un ghigno."

"Capisco." Ebbi di nuovo un brivido, e ci misi un po' a raccogliere la voce per fargli la domanda che gli feci. "E...per caso" deglutii, cercando di nascondere il tremito nella voce "per caso aveva delle cicatrici sul viso, come quelle lasciate dall'acne?"

Mi guardò per un istante, le sopracciglia sollevate, lo sguardo perplesso: "Sì, ne aveva il viso ricoperto. Ma come fai a saperlo?"

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