Di Notte Non Devi Urlare

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Quando ero piccola, mio nonno, tornando stanco dal lavoro, ci raccontava che se urlavi di notte il diavolo veniva a prenderti.

Era un ottimo modo per farci stare buoni, almeno per la prima mezz'oretta. Ma in fondo, quando noi nipoti eravamo tutti riuniti, era impossibile non fare baldoria. Il primo di noi che rompeva il silenzio iniziava a parlare a bassa voce, poi il secondo rispondeva con delle risate un po' meno contenute e dopo un paio di minuti ci ritrovavamo ad urlare eccitati. Poi di punto in bianco ci ricordavamo delle parole del nonno e ci rintanavamo in silenzio sotto le coperte, aspettando terrorizzati che lui venisse per noi.

Non resistevamo a lungo e, nel giro di una ventina di minuti, eravamo tutti addormentati.

Un giorno dissi a mio nonno che io non credevo più alla sua storiella, avevo ormai 10 anni ed ero troppo grande per crederci ancora, dopotutto non era mai successo nulla di ciò che raccontava. Lui mi sgridò e disse che su queste cose non bisognava scherzarci e che se non lo avevo mai visto era perché dormivo, ma lui era lì a fissarci, aspettando il primo di noi che si svegliasse durate la notte per portarlo via.

Non riuscì a convincermi con questa storia, ma ero curiosa lo stesso.

Una settimana dopo, io e i miei cugini eravamo di nuovo tutti riuniti e stavamo mangiando le cotolette che ci aveva preparato la nonna, quando spiegai a tutti il mio piano. Avremmo dovuto urlare apposta e poi andare a letto, io sarei rimasta sveglia per vedere se veniva davvero il diavolo. Ero una bambina molto determinata e mi ero preparata al mio compito con un bel pisolino pomeridiano. Eravamo tutti d'accordo, tranne Annie, la più piccola, che, spaventata, minacciò di dire tutto al nonno quando sarebbe tornato a casa.

Alla fine convincemmo anche lei, dicendole che era una prova di coraggio e che se non avesse partecipato anche lei sarebbe stata una fifona e se l'avesse anche solo accennato al nonno non avremmo più giocato con lei.

Finita la cena, andammo tutti a metterci il pigiama e a lavarci i denti. Aspettammo seduti davanti al camino che il nonno tornasse, quindi gli demmo la buonanotte e andammo in camera. Contai fino a tre e tutti urlammo all'unisono, poi, seguendo alla lettera il piano, ci mettemmo tutti nel letto.

Dopo pochissimo tempo, quando ancora nessuno dormiva, la porta si aprì: era la nonna che, sentendo il nostro grido, si era affacciata per vedere se fosse successo qualcosa. Facemmo finta di dormire e lei se ne andò. Passarono pochi minuti e tutti si addormentarono, tranne me.

Me ne stavo a fissare il buio, in attesa, e in cuor mio speravo che non arrivasse nessuno. Dalla sveglia sul comodino potei contare il passare di un paio di ore, prima che anche i miei occhi si chiudessero. Mi svegliò un fruscio ma, assonnata, in un primo momento non mi ricordai del nostro piano. Mi rigirai nel letto e richiusi gli occhi. Li riaprii subito, perché mi era sembrato di aver visto qualcosa e mi ricordai di tutto.

Quell'essere era lì, in piedi, davanti alla porta. Sembrava un'ombra e aveva dei grossi e penetranti occhi gialli, senza pupilla.

Mi sforzai di non muovermi e non gridare, anche se ne sentivo il bisogno. Non si accorse che ero sveglia e io rimasi lì immobile a fissarlo finché, una volta arrivata l'alba, si girò e scomparve attraverso la porta. Aspettai qualche minuto e poi mi lasciai andare in un pianto disperato. Quando anche i miei cugini si furono alzati gli raccontai tutto. Loro non dissero nulla.

Dopo una colazione silenziosa, ci mettemmo a giocare ignorando l'accaduto e, prima di pranzo, i nostri genitori vennero a prenderci.

Tornai a casa e, vedendomi turbata, mia madre mi chiese cose fosse successo e io le raccontai tutto singhiozzando. Lei mi disse che sicuramente si era trattato solo di un sogno indotto dalla suggestione e che l'unico motivo per cui non bisognava urlare di notte era che si disturbavano le persone che volevano dormire. Anche se le parole di mamma mi rassicurarono molto, quando fu ora di andare a dormire insistetti per andare a dormire nel letto con i miei genitori.

Mi sentivo sicura tra mamma e papà e mi addormentai senza fatica.

Venni però svegliata da uno strano rumore. Sembrava un respiro affannato, non riuscivo a capire da dove provenisse. Ai piedi del letto e non c'era nulla, nemmeno davanti alla porta e tantomeno vicino l'armadio. Poi alzai gli occhi e vidi la figura nera che aleggiava distesa sul soffitto, con quei suoi enormi occhi gialli rivolti verso di me.

Rimasi pietrificata dalla paura, mentre scendeva verso di me. Quando ormai era a pochi centimetri dal mio viso, feci un grandissimo sforzo e urlai "mamma". Lei, essendosi svegliata, mi guardava, ma era evidente che non riuscisse a vederlo e, quando mi abbracciò, lui si allontanò, rimanendo ai piedi del letto. Io non dissi niente, non ci riuscivo. Rimasi a guardarlo per qualche minuto, poi, finalmente, scomparve.

In quel momento mia madre mi strinse più forte, troppo forte.

Quando alzai la testa per guardarla, notai i suoi occhi gialli e, pian piano, divenne un'ombra scura. Nonostante i miei sforzi non riuscii a divincolarmi. A quel punto si alzò tenendomi stretta, aprì la finestra e saltammo giù. L'ultima cosa che ricordo è l'immagine dei miei genitori che dormono tranquilli, mentre la loro bambina viene portata via.

Quella notte il diavolo si prese la mia vita e la mia anima.

Bambino, non avere mai la presunzione di essere troppo grande per credere alla storielle.

E ricorda che "di notte non devi urlare".

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