Capitolo 28

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"Il demone interiore"

«E io?» domandava Mikhail, trovandosi palesemente in soggezione in mezzo a tutti quei demoni, comunque suoi compagni. Essendo lui totalmente umano ma sotto la protezione di Stolas, rimaneva comunque uno in difficoltà a riguardo. E così, il demone gufo si avvicinò al ragazzo e, chinandosi alla sua altezza, disse:«Se vuoi, posso pensarci io a te, d'accordo? Non sentirai male» a quelle parole, senza neppure aspettare un'eventuale risposta del demonologo, questo emise un bubolare decisamente sonoro, quasi stridulo, prima di tramutarsi in una sorta di sfera di luce blu che talvolta diveniva rossastra, passando attraverso il corpo di Mikhail. Egli alzò un sopracciglio, non avendo idea su come reagire a riguardo, ma non appena sentì un calore talmente superiore al proprio, come di botto, e con un battito cardiaco leggermente accelerato, gli sovvenne alla mente che era stato appena posseduto dal demone gufo, apposta per farlo viaggiare negli Inferi senza trovarsi sciolto a causa delle temperatura esageratamente più alta di quella alla quale sarebbe abituato normalmente. «Va meglio, ora?» domandò quindi Stolas attraverso il corpo di Mikhail, con il ragazzo che semplicemente ammiccò, raggiungendo il resto del gruppo capitanato da Lucifugo e Luciftias, i quali stavano confabulando di qualcosa, tra padre e figlio. «Dici che Xenthal ci potrà quantomeno lasciar usare la sua arena che usa per gli allenamenti assieme alle sue schiere?» chiese il Portatore di Tempeste al figlio del Diavolo, con questo che, adocchiandolo con la stessa capacità di essere sicuro quanto irritante allo stesso tempo, con le mani sui fianchi, rispose al suo primogenito, dicendo:«Vai tranquillo, figliolo! Xenthal sicuramente vorrà anche incontrare, sicuramente, chi ha aiutato durante la seconda Notte d'Adamantio, no?» tali parole erano anche riferite a chi stava alle sue spalle, esattamente agli aesiriani, i quali attraverso i demoni che interpretavano, emisero un fragoroso ruggito, all'unisono. Il re ereditario degli Inferi sogghignò divertito dalla loro reazione, a far intendere di non aver ancora perso colpi nel farsi ascoltare dalla sua specie, dal suo popolo; proprio, Luciftias aveva ereditato dal padre la capacità di mettere in riga anche una popolazione come quella infernale, dettata dal libero arbitrio e dalla caratura caotica, distruttiva, fuori da ogni schema. Ma loro non stavano procedendo verso la capitale di Pandemonium, ma altrove, esattamente in un punto quasi silenzioso del regno, soltanto animato dal crepitio delle fiamme eternamente accese e dalle flebili urla di dolore che tutte le anime peccatrici esalavano a perdifiato, ormai costrette a farlo fino alla fine di ogni cosa. C'era una porta, letteralmente costruita sul niente, nera e con alcuni dettagli argentati attorno. Vi era anche un particolare simbolo su di essa: era un esagramma viola scuro.
Alla vista di tale porta, Belial, ossia il demone che controllava Fenrir, disse col suo tono quasi dettato dalla follia, sorridendo ampiamente:«Andare nel Klevarien per me è sempre un piacere, mhmh» e che dire anche di Mefistofele, ovvero Viktor, sempre con quel sorrisetto dannatamente pazzo e teatrale allo stesso tempo, come se per il Dio del Tuono, la possessione non gli avesse fatto alcun effetto, ma soltanto amplificando il suo essere già schizofrenico di suo:«Concordo con te, Bel. È un bel posto per potersi sfogare senza far incazzare sua altezza» sentendosi nominato, ma sicuramente anche riferendosi a Lucifero stesso, Luciftias volse lo sguardo verso il gruppo, dicendo loro:«Chissà come mai i due regni sono gemellati, Mefisto. Ma comunque, prego, dopo di voi» aprendo quindi la porta che dava su una porzione ben grande ed isolata rispetto a tutto l'Inferno, con il terreno di pietra rossa che andava a scurirsi mano a mano che si allontanavano dall'ingresso al Regno del Chaos, tutti quanti poterono varcare la soglia, trovandosi in un luogo sicuramente non vuoto come ci si potrebbe aspettare, ma come una sorta di secondo Inferno, pieno di crateri dalla grandezza simile a quelli lunari, solo ad abbellire quello spettacolo caotico che mostrava il Klevarien. Persino chi lo popolava, i klevarniosti quindi - demoni dallo spirito caotico indomabile -, sembravano oggettivamente divertirsi in quel luogo simbolo della devastazione più pura. «Benvenuti nel regno del Klevarien, per coloro che hanno con sé i propri demoni» disse quindi Luciftias, allargando con ampiezza un braccio, ad indicare tutto quello che era il Regno del Chaos, per poi voltarsi verso il figlio, il quale sembrava decisamente a suo agio lì. Sorridendogli quindi, il re volse lo sguardo altrove, puntando verso quella grande struttura dal fascino puramente infernale, dovuto dalle grandi mani di pietra, artigliate in acciaio, che spuntavano da sotto un grande fossato di lava attorno a quello che era il castello del Klevarien, dimora del potente Dio del Chaos. «Laggiù, potrete rincontrare Xenthal, che sicuramente non vede l'ora di rivedervi» concluse lui, facendo un lieve cenno col capo, apposta per farsi seguire verso tale edificio, il quale proprio a causa della sua forma, sembrava quasi senziente agli occhi del gruppo intero, pronto ad afferrare loro tra quelle enormi mani artigliate e trucidarli uno ad uno senza pietà.
«Per essere il castello di un dio così potente come Xenthal, sicuramente non è tanto appariscente, no no» commentò Viktor, o meglio, Mefistofele, con il suo solito fare sarcastico, con Morten nella forma di Ahriman che diede una gomitata all'altro demone, guardandolo palesemente con l'occhio critico. «La prossima volta con la tua lingua ci faccio il bollito, chiaro? Stai zitto per un poco» disse quindi lui, guardando Mefisto con la morte negli occhi, mentre l'altro annuì con fare beffardo, sapendo che tanto non lo avrebbe mai fatto sul serio, intanto che, per via del fatto che tutti quanti si erano fermati, erano stati fermati dalle guardie a protezione del castello. Due di loro, in armatura argentata con alcune pietre di un rosso fuoco assai acceso, stavano con delle sciabole tra le mani, mentre gli altri con delle lance, con quello dalla sciabola dorata che disse loro, con tono ferreo, rigido:«Halt! A quale scopo dobbiamo la vostra visita, alla corte del re Xenthal?» Luciftias non ci mise più di due secondi a farsi avanti, e con il suo tono autoritario, oltre che stando ad ali dispiegate, rispose:«Luciftias Morningstar. Ho tutti loro sotto la mia guida, e abbiamo bisogno di parlare con il re Xenthal. È libero, per caso?» avendo notato di essersi trovati la regalità del re Luciftias davanti, questi chinarono prontamente il capo in segno di rispetto, sempre con quello dall'arma d'oro che rispose al sovrano:«Sua altezza, mi dispiace di aver imposto autorità su di lei, la prego di perdonarmi. E comunque sì, il re Xenthal è libero in questo momento. Vuole che vi facciamo annunciare a lui?» il figlio del Diavolo scosse il capo, semplicemente. «Non serve. Vogliamo quantomeno fargli una sorpresa nel farci vedere a casa sua, senza che lo venga a sapere» la guardia sospirò, ammiccando a quanto detto dal re, e voltandosi verso gli altri, questi subito si fecero da parte, oltre ad aprire i grandi portoni per l'accesso di Luciftias e compagni. Perciò, non appena ebbero modo di farlo, essi varcarono la sicuramente tanto lussuosa soglia, prettamente composta in modo elegante, e soprattutto col nero e il viola a far da padrone alla scala cromatica all'interno del castello. C'era molto da parlare riguardante al posto in cui si trovavano, tra quadri raffiguranti la grande famiglia Klevastung, ed anche alte librerie stracolme di sapere: ciò che stava rendendo Stolas quasi come un bambino nel vedere la quantità infinita di libri. «Quasi quasi, quando avrò un po' di tempo, chiederò in prestito un po' di questi» commentava attraverso il corpo di Mikhail, bubolando quasi in modo divertito. Ma proprio quando sembravano sul punto di metter piede sui gradini che portavano al piano sovrastante, verso la sala del trono, un ruggito di stampo demoniaco fece indietreggiare tutti quanti loro, mentre una figura scura, rapida come il vento, sembrò come materializzarsi in cima alle scale, appoggiata con una certa teatralità contro la ringhiera, ad ali dispiegate. Li guardava uno per uno, con quegli occhi di un viola semplicemente inumano, luminosi e criptici in quello che avrebbero potuto rivelare. «Ehi, Xenthal! Scendi giù che ci stanno dei compari tuoi che vogliono salutarti» disse divertito, Luciftias, mentre il corvino scese dalle scale praticamente scivolando sul corrimano, prima di dare un forte abbraccio ai suoi ospiti, ma lasciando uno spazio in più per Fenrir, anche se non era molto chiaro per quale motivo, anche se, in cuor del mezzo lupo, era palese quello che stava pensando il dio.
Anche se attraverso Belial, Fenrir riusciva almeno a sentire l'affetto che il Dio del Chaos gli rivolgeva, dicendo a questo con una lieve risatina di sottofondo:«Ehi, Xenthal, che c'è? Ti mancavo così tanto?» notava come egli agitava forte le ali, quasi come se avesse davvero nostalgia nel rivederlo. Xenthal quindi, annuendo, rispose al mezzo lupo posseduto dal potente demone, mostrando un sorriso raggiante, incupito dall'affilatezza dei suoi denti:«Ovvio che mi sei mancato, Fen! O meglio... tu sai chi, heh-, ehm» guardando anche gli altri, notando come questi fossero decisamente confusi su chi o cosa lui si stesse riferendo, sembrò quasi arrossire d'imbarazzo, prima di lasciar andare Fenrir, il quale però se la rideva di gusto, noncurante del fatto che, propriamente, il soggetto era proprio lui. Dopodiché, tornando davanti a tutti loro, riprese cordialmente il discorso col re Luciftias, il quale dopo essersi grattato nervosamente la nuca per quanto accaduto, disse al dio:«Comunque, mi fa piacere che tu stia benone, anzitutto. E, andando diretti al punto, avrei bisogno di un favore da chiederti» quasi come se fossero fratelli, Xenthal poggiò un gomito sulla spalla del sovrano infernale, annuendo animatamente alla sua richiesta:«Mhm! Volentieri, di che si tratta, sua altezza?» il biondo quindi, sospirando, indicò con lo sguardo alla sua sinistra, dove sarebbe dovuta essere ubicata l'arena:«Essendo che loro, assieme a me, siamo in una situazione abbastanza precipitosa tra quei Hafna-come-cazzo-si-chiamano-loro e quell'essere noto anche Wang Lu sotto mentite spoglie, il quale ha anche minacciato la sicurezza di mio figlio, beh... avremmo bisogno della tua arena, così posso allenare con calma questa banda di demoni, in modo da renderli pronti ad ogni evenienza» mostrava qualche smorfia, avendo capito che la questione era decisamente seria stando a come la esasperava parlando... ma dopotutto, tra sovrani di due regni gemellati tra loro, era anche bello il fatto di potersi aiutare a vicenda. Per questo motivo, la divinità caotica allungò un braccio verso la medesima direzione indicata da Luciftias, ad indicare che non vi erano problemi:«Finché è lei a chiederlo, non vedo quale sia il problema di farvi usare la mia attrezzatura. Mi raccomando, massacrate tutti quanti anche da parte mia, intesi?» alla domanda fatta da egli, tutti emisero un ruggito all'unisono, appunto a confermare di voler mantenere stretta la richiesta comminata da Xenthal. Sorridendo quindi, egli camminò tra di loro, prima di uscire dal castello, col gruppo che lo seguiva come fossero pecore col pastore, ciecamente ubbidienti alla potenza con la quale avevano a che fare.
Non ci misero più di tanto a raggiungere l'arena che solitamente veniva usata dalle guardie di Xenthal per allenarsi, in quanto era decisamente vicina alla dimora del sovrano, oltre al fatto di quanto diavolo fosse immensa anche a distanza. Lo stile oscuro non mancava alla struttura, con svariati motivi raffiguranti il regno, come le lame di falce o proprio la sfilza di esagrammi violacei che erano incisi con cura sulle pareti nere. Per non parlare anche della grandezza al suo interno, forse capace anche di ospitare una cospicua quantità di gente sugli spalti attualmente vuoti. «Diciamo che qui ci divertiamo molto anche con l'organizzazione di mini tornei di lotta, così da mantenere vivo questo regno composto da pesti, hehe» raccontava intanto Xenthal, passeggiando con disinvoltura sul terreno di terra bruciata, seguito a ruota dagli altri. Così, con Luciftias e Lucifugo che si sganciarono dal gruppo per dirigersi al centro dell'arena, il figlio decise di richiamare l'attenzione dei presenti con un forte battito d'ali, il quale fece salire un forte tifone tutto attorno a loro, costringendoli a voltarsi verso i due diavoli, e mettersi sull'attenti. Erano in riga, a distanza circa di un metro l'uno dall'altro: testa alta e mente fissa sull'obiettivo. «Sguainate le armi, e alzatele fieramente sopra la testa. Non voglio paura nei vostri volti, perché da oggi sentirete l'Inferno ardere nelle vostre vene, come un secondo endoscheletro pronto a darvi sostegno» all'ordine impartito dal re ereditario, con Xenthal che intanto si godeva l'allenamento dagli spalti, osservandoli con la testa poggiata su una mano, tutti quanti mostrarono le armi, alzandole verso il cielo con un certo orgoglio, aizzando anche un grido dal suono devoto a quella vittoria che volevano, bramavano di conseguire. Luciftias sorrise quindi, brandendo anche la sua lama, gigantesca, persino più alta e lunga di lui, e senza neppure muoversi, mise il piatto della lama color rubino sulla spalla sinistra di Camuel, o meglio, Anton, il quale volse lo sguardo verso il sovrano. «Fammi vedere qual è il tuo desiderio, e porgilo al demone che ti accompagna fedelmente attraverso la tua anima» poteva notare come gli occhi del diavolo erano cambiati di colore, da un purissimo oro ad un impressionante rosso sangue, circa il medesimo del re thaulino posseduto, con Anton che non si scompose alla richiesta diretta che gli venne fatta, facendo un passo avanti. La sua spada sembrava tintinnare ad ogni passo che faceva, prima di chiudere gli occhi, portando l'affilata lama davanti al volto:«Il mio desiderio è quello di liberare il nostro pianeta, Rechlan, da tutto lo schifo che lo sta lentamente corrodendo. Voglio che ciò venga espulso» attorno all'uomo, durante la descrizione del suo desiderio di guerra, si andava a formare una sorta di aura bluastra, oltre ad un grido demoniaco che fece praticamente tremare tutta l'arena e l'aria stessa. La sua spada brillava di quel fuoco che lentamente la pervadeva, prima di notare come un pentacolo si materializzò per un istante, circa all'altezza del petto dell'aesiriano, il quale poi, mostrando un certo cenno con la mano sinistra, il Saluto Luciferino quindi, tornò alla sua postazione. Quando aprì gli occhi, inoltre, poté notare di avere come dei piccoli orbs luminosi, nove per l'esattezza, gli giravano attorno al corpo, come se orbitassero. E poi ancora, una voce rispose attraverso la bocca di Anton, fragorosa come solo quella di un demone poteva essere:«Sono al servizio del tuo desiderio, mio padrone» furono le uniche parole che il demone Camuel emise prima di lasciare il controllo del corpo all'uomo.
Annuendo concorde con quanto detto da egli, Luciftias poi procedette oltre, alzando nuovamente la lama della spada, prima di posarla sulla spalla di Viktor, o meglio Mefistofele, il quale fece un passo avanti, brandendo la sciabola. «Il mio desiderio è quello di combattere fino alla morte per quella persona che, ad oggi, ancor mi fa dolere di aver perduto» tutti quanti, nel momento in cui disse tali parole, sembravano sbigottiti, persino Luciftias stesso: di cosa stava parlando, anzi, di chi, lo sapeva solo Viktor. Nel mentre, il suo desiderio stava essendo rivelato sotto forma di attacco rivolto al vuoto, con la sua sciabola che, non appena brillò di una luce violastra decisamente innaturale, fece partire verso l'alto un'onda anomala materializzata dal nulla, prima di scoppiare in un ben più tonante uragano stracolmo di fulmini, il quale dovette far bloccare le armi a terra di tutti quanti per evitare che volessero via, trascinati dalla forza inumana di esso. Eppure, Viktor non lasciava che ciò finisse, ridendo come un pazzo senza senno, salvo poi sentire il grido di Luciftias:«VIKTOR, SMETTILA!» tirò giù quindi la spada, con l'uragano che si dissolse letteralmente in un istante, lasciando solo una brezza rovente di vento. «Ma che diavolo era?!» esclamò Lucifugo, il quale si era più che altro attaccato al padre, rimasto immobile durante tutto ciò; Viktor guardava quello che aveva fatto, sentendo comunque il potere di Mefistofele fluire dentro di sé ma leggermente dispiaciuto di aver causato per qualche istante quel marasma. «Pardon moi, ragazzi. Mi sono lasciato prendere troppo dalla voglia di mettermi in mostra» ma quando si ritrovò Katrine al suo fianco, o meglio, nella forma della dea Hel, ella lo guardò con occhio inquisitorio, avendo palesemente notato cosa disse in precedenza:«A chi ti riferivi prima, Viktor? Cioè, bello eh, si vede che nella tua schizofrenia hai un cuore d'oro... però, non ho capito a chi era riferito» si sentiva anche gli occhi di tutti quanti addosso, obbligato di fatto a rivelare ciò che indicavano le sue parole, il suo desiderio. Vi era Xenthal che se la ridacchiava dagli spalti, silenziosamente, essendo anch'egli nella medesima situazione, ma sicuramente da molto più tempo di lui. Eppure, sentendosi obbligato, Viktor chinò il capo, per la prima volta mostrandosi meno teatrale quanto drammatico:«Ecco... alcuni di quelli che hanno vissuto la prima Notte d'Adamantio conoscevano mia moglie, Esther Solheim. La capitana più geniale che io avessi mai visto: la portabandiera del complesso del Hrassen» sentendo il nome appena citato dal Dio del Tuono, Katrine spalancò gli occhi, coprendosi la bocca con una mano, avendo sicuramente compreso l'identità della moglie di Viktor:«Esther... sì, me la ricordo anche molto bene. Era una donna splendida, con un carattere indomabile e dalla conoscenza in ambito navale semplicemente impareggiabile, ma dall'animo nobile» commentò lei, quasi sottovoce, mentre Viktor sospirò, camminando qua e là per l'arena, muovendo la sciabola tra le mani, quasi come se quella stessa arena fosse il suo palcoscenico, abituato sicuramente da tutte le commedie che lui aveva scritto e composto. «Proprio così, Katrine. Esther era semplicemente come un albero maestro per un veliero: senza di questo, il resto andrebbe a meretrici. Eppure, quel veliero ci separò, affondando e portandosi via, con sé, tutto l'equipaggio... ma non me. Il mare mi volle proteggere quel giorno, o chissà chi, forse Aesir stessa. Ma non loro, non Esther, non... nessuno di questi» lasciando cadere la sciabola a terra, con dei lacrimoni che gli rigavano il viso in modo assai esasperante, Viktor sembrava decisamente sul punto di collassare a causa dei ricordi che riaffioravano in quell'oceano di emozioni che componevano la sua mente lacerata. Si inginocchiò a terra, osservando la terra bruciata come se fosse uno specchio d'acqua, lasciando cadere quelle lacrime senza neppure provare ad asciugarle, ma solo mordendosi le labbra, singhiozzando, in preda a quell'attacco di pianto quasi isterico che mai qualcuno si sarebbe aspettato di vedere da uno così potente quanto teatrale come lui. Viktor non era così, eppure il suo vero sé era questo, ferito nell'animo da millenni. «Esther... mia Folgore...» non stavano sognando quelli che lo ascoltavano, era serio sul da farsi: aveva nominato sua moglie e il suo veliero, come se fossero la stessa cosa. «Err, Viktor, non credi di star esagerando? Cioè, paragonare un oggetto inanimato alla tua defunta moglie mi sembra un po'... infantile, ecco» ci stava Fenrir che stava sul punto di rifilare una sberla a Morten per il poco tatto con il quale disse tali parole, che sicuramente avrebbero potuto far solo che male al depresso sovrano di Hrassen, il quale strinse i pugni, e neanche così debolmente, replicando con un tono quasi isterico:«La Folgore non è un oggetto inanimato, futile bastardo! La Folgore è... beh... è l'unica cosa che mi avvicina a lei. Ebbene sì... essa ha con sé lo spirito di Esther» ora sì, era più che logico il fatto di dover rimanere sorpresi da quello che disse. Si spiegava sicuramente da sé il perché fosse solito dare del lei al veliero, da parte di Viktor, ed ora questo... beh, di certo aveva un che di unico, per uno come lui.
«Ma ora che ci penso, te avevi lasciato la Folgore al porto di Podenzhny. Sei sicuro che sia saggio da parte tua lasciarla incustodita a Molniskij?» domandò quindi Anton, con Vasilissa che, sentendo tali parole, strabuzzò gli occhi per un attimo:«E non mi avete detto niente?! Avrei chiesto alla mia capitaneria di farla sopraggiungere al porto di Solomazhen!» esclamò lei, mettendosi le mani sui fianchi con fare abbastanza arrabbiato, mentre Viktor alzò una mano per chieder scusa all'imperatrice. «Puoi ancora farlo, Vasilissa, non ho alcun tipo di problema. Finché non viene distrutta, cosa molto difficile, allora posso stare tranquillo» replicò quindi lui, mentre la donna sbuffò, annuendo in risposta.
Vi fu un momento quasi di imbarazzante silenzio tra tutti quanti loro, con Luciftias che dovette fare qualcosa per evitare che ciò si perpetuasse ancora. Perciò, battendo la lama a terra, alzò il tono:«Okay, basta lagne greche e screzi tra voi. Avete dei demoni con voi, e non vi permetterò di ridurli ad ascoltare le cazzate che dovete raccontarvi. Tornate in posizione prima che vi faccia il culo, uno per uno» che fosse un modo decisamente diretto e secco per farli rimettere in riga, era palese anche dal modo in cui agitava nervosamente le sei paia di ali, a mostrare il suo nervosismo. Così, ubbidendo a quanto richiesto dal re, tutti quanti si rimisero in posizione, potendo finalmente proseguire con quanto cominciato.
Non ci volle molto ora, con il gruppo che poté ricevere quella forte sintonia col proprio demone di riferimento, ma comunque, senza mai dimenticare quanto detto da Viktor, prima. Loro erano diventati dei demoni a tutti gli effetti, ma prima di tutto, avevano dei sentimenti, e lui ne aveva davvero tanti, forse troppi per un dio dallo spirito teatrale semplicemente genuino, presente anche nella vita di tutti i giorni. Il loro era considerabile come un demone interiore che li avrebbe spronati a sovrastare le loro difficoltà e farsi forza attraverso queste, ma per lui sarebbe stato un viaggio in una tempesta di emozioni, dove lui era il veliero, e le onde che lo sballottavano qua e là, erano proprio quei pensieri che lo affliggevano, pur essendosi sfogato anche davanti a tutti loro...

Chronicles of a Sin: Divine BlizzardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora