"La prima sinfonia"
Notando Otis rinchiuso nei suoi pensieri di pura sconfitta, forse anche con un po' di delusione dovuta al cognome che si portava dietro, il gruppo non poteva far altro che guardarlo con sicurezza. La bestia era stata catturata, e la sua gabbia era la sua mente, dove difficilmente sarebbe potuto uscire. «Padre, perdonami. Ho fallito la missione» disse il ragazzo tra sé e sé, guardando a terra proprio con fare affranto, ogni tanto dovendo digrignare i denti a causa delle risatine compiaciute che gli altri emettevano alle sue spalle. Davvero, non voleva sentirsi umiliato in questo modo, e non lo avrebbe permesso di certo ora.
Però, forse anche spinto da un momento di follia, magari da compassione, Fenrir fu il primo ad avvicinarsi al figlio di Decadia, sì un po' timoroso a causa della forza e della caratura che egli si portava orgogliosamente addosso, ma comunque volendo cercare di risollevare il suo animo. Non era mai stato uno capace di ridere delle disgrazie altrui, a differenza di uno come Morten che, vabbè, ci sarebbe sguazzato nelle sue disgrazie. «Ehi, Otis» provò ad approcciare lui ad una conversazione quantomeno pacifica, con l'altro che sospirò sentendo la voce del mezzo lupo. Non sembrava molto intenzionato a parlare con nessuno, ma forse obbligato a farlo, disse a sua volta:«Mh? Che c'è, Fenrir?» i suoi occhi color rubino sembravano smorti, spenti anche nella relativa sicurezza nella quale era solito vivere. Il re ymaregno osservava quegli occhi con un po' di sorpresa, non avendo mai visto uno come lui così giù di morale. Magari fino a prima, ed anche durante la Seconda Notte d'Adamantio, avrebbe goduto nel vederlo soffrire, ma stranamente non sembrava essere intenzionato a farlo. «Niente, volevo solo vedere come stavi. Cioè, fa strano vederti così, se capisci cosa intendo» rispose quindi il moro dai ciuffi bianchi, appoggiandosi al suo fianco, contro il muso del caccia. Otis lo guardava un attimo con fare confuso, a causa della gentilezza a lui mostrata. Non se la meritava, assolutamente, però nel vedere come Fenrir sembrava intenzionato davvero a consolarlo in qualche modo, sotto sotto lo faceva star bene. «Ancora ricordo quel giorno, nei sotterranei del Dente di Sangue, a Vërnha. Heh, direi che è stata una bella lotta, nevvero?» un po' del suo spirito combattivo sembrava affiorare attraverso quella maschera composta da sensi di colpa, sconfitta e umiliazione. Quello non lo avrebbe mai perso, neppure con la morte. «Mm, sì dai, sei un ottimo avversario e un valoroso combattente, lo ammetto» ammise quindi Fenrir, accennando un sorrisetto divertito, prima di rifilargli una lieve gomitata amichevole sul braccio. «E poi, non è una cosa usuale quella di vedere un Decadia, per giunta il figlio dell'Erdester per eccellenza, così mogio mogio»
«Ahimè, sono ben lungi dal voler essere felice, in questo momento. Cioè, sono stato già ucciso una volta e, ricreato da papà, ora mi ritrovo con le spalle al muro» la smorfia che Otis fece, era esattamente quella di uno che non sapeva come fuggire da una situazione decisamente spinosa. Suo padre, Decadia, mai lo avrebbe voluto vedere in quelle condizioni, non dopo aver fallito la missione, ancora una volta. Notando proprio quella singolare risposta, figlia di un lieve timore reverenziale dovuto alla potenza con la quale il ragazzo aveva a che fare ogni giorno, sin dalla sua nascita, Fenrir non poteva far altro che chiedersi se davvero avesse paura di egli. Perciò, guardando quell'orizzonte infinito davanti a loro, domandò all'altro:«Hai mai avuto paura di tuo padre, Otis? Da come mostri la tua sconfitta in modo così tanto esplicito, sembra quasi che tu lo tema» il ragazzo al suo fianco annuì senza pensarci due volte, già avendo in mente come esprimere le sue ragioni:«Beh, non sono l'unico. O meglio, se parlo per me, ho paura di Decadia solo quando si arrabbia; per il resto è davvero un padre premuroso, è solo visto malamente da tutti quanti per via del suo essere»
«Prima dicevi che eri stato 'ricreato', non riportato in vita da tuo padre. Cosa intendi con questo?» a questa domanda fattagli, Otis sembrava come trovarsi a un bivio: dire la verità o mentire spudoratamente. Aveva tutti gli occhi puntati addosso, e chissà anche di chi che, magari, neanche stava lì con loro. Perciò, convintosi della scelta fatta, egli si alzò una manica della giacca, mostrando un tatuaggio rappresentante quello che sembrava qualcosa di senza senso, numeri e lettere messi quasi alla rinfusa, in ordine. Erano sedici caratteri. «Vedi, Fenrir... Io non sono umano, né tantomeno un dio. Sono un codice, un qualcosa di generato attraverso un computer: un programma in tutto e per tutto» quella rivelazione sembrava aprire le porte anche a risposte ad altre domande rimaste incompiute. Era quasi inquietante tutto questo, perché a quanto pare, loro, avevano vissuto un qualcosa del genere: numeri, lettere... codici... erano esattamente le stesse condizioni nelle quali Arschunek attaccò Naaran a Gaarekhsha, o ancora durante la disfida nell'Arsdom. C'era sempre stato lo zampino di Decadia, sin dall'inizio della loro spedizione a Shirya, e chissà anche in quali occasioni era avvenuto tutto questo. «Ora, non sarò esperto di queste cose ma... che intendi?» e prima che Otis potesse dire qualcosa, prontamente Luciftias si fece avanti e, con convinzione, disse:«Per farla in breve, Otis è un qualcosa di non reale sotto una forma umana. Non prova le stesse emozioni che magari può provare un essere umano, ma solo tutto quello che Decadia gli ha imposto. Non è triste, neppure in questo momento: è totalmente neutrale dinanzi a quello che è avvenuto» persino il Decadia era sorpreso di come il figlio del Diavolo sembrasse così esperto in materia, e ciò davvero lo fece sorridere. In fondo, non c'era gusto a mentire: questa spiegazione non l'avrebbe mai saputa dare meglio di lui. «Esattamente. Cioè, magari sarò anche un programma, ma comunque cerco di manifestare delle emozioni anche se artificiali» rispose quindi Otis, facendo intravedere proprio una certa contentezza nel parlare di sé così, a viso aperto. Fenrir si stava tenendo la testa con una mano, quasi a far intendere che non ci stava capendo letteralmente un'acca dei loro discorsi, e tagliando corto, quindi, disse a sua volta:«Okay, okay, faccio finta di aver capito. Ma comunque, Otis, per farla in breve: sai dov'è tuo padre, in questo momento?» l'altro annuì, facendo dare un sospiro di sollievo a chi lo stava guardando ed ascoltando. Finalmente, la loro ricerca per il nemico definitivo stava raggiungendo percentuali elevatissime di successo. «Ovviamente. In questo momento è a Shinigoi, sicuramente ad aiutare Tokaiyan, nel suo palazzo. Per raggiungerlo e trovarlo in tempo, però, visto che starà lì per due mesi circa, dovrò farvi raggiungere lo Shogunato e poi arrivare nella capitale di Kamigami» ovviamente tutti sapevano che la loro destinazione sarebbe stata quella, con Wan Shi che, essendo nato e cresciuto là, un poco stava iniziando a pentirsi di questo. «Otis e Naaran sanno già, ma da figlio dello Shogun quale sono, ho abbastanza timore a rimettere piede là. Non so quanto possa esser adatto anche a voi l'avermi tra i piedi, soprattutto per questo motivo» disse lui con decisamente poca voglia e convinzione di 'tornare a casa', anche a causa di quello che ebbe dovuto vivere. Certo, gli aesiriani non sapevano nulla o quasi di ciò che gli era stato fatto da questo tiranno, o così veniva definito da praticamente tutti, ma gli shiriensi e Otis sapevano eccome, e lo stesso valeva per la famiglia Morningstar i quali, probabilmente, sarebbero stati della medesima idea di evitare che Wan Shi andasse con loro, là. «Wan Shi, so benissimo quanto soffri anche solo al sentir nominarlo, ma se proprio non te la senti, beh, non te ne faccio una colpa, anzi» lo rassicurava Lucifero, differendo dal suo essere serioso e, soprattutto, non interessato alle disgrazie altrui. Sembrava diverso quando si trattava di qualcuno che a lui stava a cuore. «Si vede che è stato un angelo, eh?» commentò Lucifugo al padre, con questo che ridacchiò prima di dire, sussurrando all'orecchio del principino:«Beh, diciamo che viene rappresentato malamente, in molte occasioni. Cioè, è comunque il Diavolo in persona, ma sa quando mettere da parte l'essere diabolico e far intravedere quel poco di buono che gli è rimasto» tutto questo, intanto che il Portatore di Luce guardava il figlio, abbastanza consapevole del fatto che stesse parlando di lui. Non poteva sentirlo, ma comunque aveva afferrato il concetto e il soggetto della conversazione.
«Bene, se ci sta qualcun altro che preferisce rimanere a Baxiya per questioni personali o per dare una mano a Wan Shi, lo dica ora o taccia per sempre» tagliò corto quindi Naaran, guardando tutti quanti con fare molto più spavaldo, appoggiandosi contro l'ala del caccia, a braccia conserte. Tutti si guardavano, coscienti del fatto che, comunque, avrebbero fatto tutto questo assieme, non pensando mai anche solo un istante al voler 'abbandonare la nave' così, di punto in bianco. Fino a quel punto ci erano arrivati tutti quanti, e sarebbero andati insieme fino in fondo, noncuranti di qualsivoglia pericolo si sarebbe imposto sul loro tragitto. «Io ovviamente verrò, ma penso che rimarrò in questa forma, anche per tener compagnia a questo bel diavolo» confermò intanto Lilith che, rimasta fuori dal corpo di Vasilissa, apposta per lasciare che ella potesse pensare anche a Naaran, ora la Regina degli Inferi poteva anche dedicarsi totalmente a Lucifero che, a queste parole, sorrise di puro affetto. Poi, il silenzio più totale.
«Molto bene, molto bene, allora direi che siamo pronti a partire. Ma tranquilli, non andremo con tutti i caccia perché altrimenti finiamo per venir assaliti neanche il tempo di arrivarci a Shinigoi. Ci andremo tramite il grande bombardiere che ho lasciato qui a Shanchuan» disse infine il sovrano gaareko, con Wan Shi che, intanto, aveva appena riferito l'ordine a chi di dovere di portare a rullaggio il velivolo richiesto da Naaran, per poi dir agli altri, mostrando loro il saluto che tipicamente si userebbe nella sua Nazione:«Beh, mi dispiace non potervi raggiungere là a Shinigoi, ma spero possiate capire le mie ragioni. Ovviamente, avrete ogni tanto aggiornamenti nel caso servisse»
«Nah, non ti preoccupare Wan Shi. Fai bene a star dietro alla tua Nazione. Per la mia... boh? Di certo se lascio quel coglione che ho in corpo, mi sa che Gaarekhsha me la ritrovo tipo in guerra anche con Metnal» rispose Naaran in maniera anche abbastanza sarcastica per quello che riguardava la propria terra. Con una lieve risatina da parte di pressoché tutti, quindi, poterono finalmente salire a bordo del bombardiere appena fatto appostare in fondo alla pista, pronto al decollo. Ovviamente, furono Naaran e suo fratello Arslan a prendere il controllo del velivolo, mentre gli altri poterono prendersi il proprio posto. Stranamente, Otis sembrava anche più tranquillo di prima, circa cercando di scherzare con il resto del gruppo, o almeno per quello che poteva fare. Ora che era stato esposto alla dura realtà con la quale essi dovevano convivere, ossia quella dove lui non era altro che una sequenza di codici, almeno cercava di comportarsi più 'umanamente'. Poterono iniziare a sentire il ronzio dei grandi motori del bombardiere iniziare a farsi più forte, insistente, con il grande uccello di metallo che prese a farsi più veloce sulla pista, fino a quando, raggiunta una certa velocità, lasciò che il carrello si elevasse dal terreno, finalmente decollando in direzione della quarta e ultima destinazione del loro viaggio a Shirya: lo Shogunato di Shinigoi.
Quindi, non appena fu dato l'okay tramite il contatto di Naaran di potersi slacciare le cinture di sicurezza, durante il tragitto avrebbero potuto anche conversare e, soprattutto, conoscere di più riguardante quello che era davvero Decadia, tramite Otis stesso. E così fecero, con Fenrir che, rimasto in mezzo, con Katrine al suo fianco, chiese a questo:«Quindi, sapendo che tu sei un codice generato attraverso Decadia... tu effettivamente sei considerabile suo figlio, o cosa?» egli sembrava anche contento a rispondere a cuore aperto dinanzi a tale domanda, volendo in qualche modo ottenere la loro fiducia, o semplicemente perché non aveva altre cose da fare né alcun posto dove andare, ora. «Beh, io lo considero come un padre per me, ma più che altro sarebbe il mio creatore. Decadia è così: un grandissimo programmatore e hacker, capace di creare la qualunque attraverso la sua conoscenza in informatica, oltre anche ad un pizzico di fantasia» poi, prendendo il suo telefono dalla tasca, forse l'unico ad averlo, escludendo i Morningstar, disse ancora:«Che poi, papà non è solo questo, ma è anche un grande, grandioso sovrano, ricco di conoscenza. Inoltre, la sua passione per la letteratura ed anche la musica gli hanno permesso di intraprendere tante vie che poi, ebbero donato la vita a tanti suoi progetti» avendo sentito quel paio di passioni che l'infame Erdester aveva con sé, Luciftias sembrò quasi illuminarsi a quelle parole, voltandosi verso Otis proprio per saper di più riguardante questi. «Direi che abbiamo le stesse passioni, io e tuo padre, Otis. Della serie, mi piace scrivere e sono anche un musicista molto affermato all'Inferno» il ragazzo annuì, felice di poter condividere qualche piccolo aneddoto che vi stava dietro il padre. «Vedi, Luciftias... io ricordo bene che papà ha preso anche spunto da te per alcune delle sue canzoni, e talvolta ne trae ispirazione per ciò che poi manifesta tramite i programmi che utilizza» disse quindi lui, intanto che controllava qualcosa al telefono, pensieroso. Si notava quanto loro, in casa Decadia, fossero avanti in questo settore, e di certo gli altri non potevano far altro se non ammettere che, forse, sarebbe stato il momento di iniziare ad aggiornarsi e prendere spunto dal maestro. Però, quando egli aprì la conversazione con suo padre, Otis non sapeva cosa fare. Sembrava bloccato, come se preferisse evitare di sentire e sorbirsi le sue ire infernali. «Mh? Tutto bene, Otis? Ti sei incantato davanti allo schermo» domandò Fenrir, notando proprio questa sua singolare preoccupazione. Il ragazzo scosse rapidamente la testa prima di chiudere l'applicazione di violenza, senza neanche guardare, dicendo quindi:«E-Eh? Oh, no no, tranquillo»
«Ha semplicemente paura della reazione di suo padre, Fenrir» rispose Lucifero dall'altro lato, guardando i due con quasi noia, come se avesse vissuto questo genere di cose ormai infinite volte, e come dargli torto, dopotutto. Guardava anche il figlio, il quale se la ridacchiava perché, beh, sicuramente cose di questo tipo di cose gli erano successe, e con uno come il Diavolo di certo non erano altro che dolori. «Sentite, come detto prima è vero, temo mio padre per quello che potrebbe farmi poi. Vorrei scrivergli quantomeno per rassicurarlo, ma non so quanto gli importi di questo, ma vorrebbe sapere da me se la missione sia stata compiuta come da ordini» disse quindi il Decadia, sospirando proprio con quella tipica preoccupazione che si vedrebbe dopo aver preso un brutto voto a scuola, non avendo la benché minima idea di come il proprio genitore di turno avrebbe reagito a questo; ecco, Otis stava vivendo questo. «Mah, secondo me non ci stanno problemi a scrivergli eh. È comunque tuo padre, e penso che, pur essendo uno stronzo, abbia un po' d'amore verso suo figlio, o creazione o quello che sei» rispose ancora il sovrano infernale, mentre l'altro, forse convinto dalle parole usate, a quel punto fece come consigliato dal demonio per eccellenza. Ci mise un po' per pensare a cosa scrivere effettivamente, ma alla fine ci riuscì e, inviando il messaggio, poté almeno mettersi per un istante l'anima in pace.
Intanto, ormai ben al di sopra delle nuvole e con quella distesa di bianco sopra, e il fondo bluastro dovuto all'oceano, faceva presagire come fossero vicini allo Shogunato, e probabilmente ormai prossimi alla fase d'atterraggio. «Signore e signori, ci stiamo avvicinando alla Nazione dello Shogun, Shinigoi. Pertanto, si chiede di allacciarvi le cinture di sicurezza, essendo in fase di atterraggio. Spero abbiate avuto un buon viaggio» Naaran avvertì quindi il gruppo tramite l'interfono, iniziando la discesa verso l'aeroporto di Raijiō, a sud della Nazione. Ma ora una domanda sorgeva anche un tantino spontanea, soprattutto per quanto riguardava quanto avvenuto prima con Otis: com'era possibile che egli avesse mandato un messaggio a suo padre tramite il telefono se stavano a bordo del bombardiere? Cioè, teoricamente avrebbe causato interferenze a causa delle onde elettromagnetiche che quel dispositivo emetteva, ma stranamente non sembrava esser stato questo il caso.
Ma comunque, nulla sembrò esser successo, essendo che l'atterraggio procedette come da protocollo, potendo finalmente metter piede nello Shogunato. Stranamente, a differenza di come ci si aspetterebbe da una tanto temuta Nazione come quella, essa sembrava anche ben tenuta, a partire proprio dall'aeroporto che, francamente, pareva esser stato messo su da poco tempo. Vi erano anche tante insegne luminose che proprio, davano l'idea di non sembrare nemmeno più a Shirya, ma altrove, dove la tecnologia era decisamente più sviluppata. «Benvenuti a Shinigoi, direi. Beh, che dire: pensavo peggio» commentò Luciftias, appostato al finestrino proprio per vedere là fuori. «Oh sì, posso dire che mio padre, per questo, ha fatto un ottimo lavoro. E dire che prima era sicuramente molto più retrograda» rispose Otis, finalmente potendo alzarsi e stiracchiarsi piuttosto animatamente.
Quindi, con Arslan e Naaran ad attenderli giù dal bombardiere, si poteva già sentire come il tempo lì, era freddo, anche se, sicuramente, molto meno di Molniskij. «Beh, sembra quasi di stare a casa, tra le montagne dell'Urakhneš» tubò Mikhail, divertito dalla somiglianza d'atmosfera tra le due Nazioni. Nel mentre, leggendo quello che veniva proposto dai tabelloni pubblicitari e quelli rivolti alle notizie attuali, vi erano tante di queste che si riferivano a quanto avvenuto poche ore prima, nei cieli di Baxiya, sicuramente con Otis che, in quel momento, avrebbe preferito non essere lì. Di certo suo padre era venuto a sapere della sua disfatta, e ciò lo mostrava anche nello sguardo, indicante preoccupazione. «Andiamo. Da qui a Kamigami vi è una strada lunghissima, essendo che siamo dall'altra parte della Nazione» disse quindi lui, cercando di mantenere la calma e, mostrandosi nella sua forma di Wang Lu, ma con abiti più simili a quelli usati dagli shinniani, potendo mascherarsi tra loro. «Beh, ci sta raggiungere il prima possibile Decadia prima che possa fare un casino, ma penso che sia meglio visitare Shinigoi da cima a fondo» propose quindi Viktor, con anche una forte ragione di sottofondo: se quella era la terra più temuta e detestata del continente, valeva vedere cosa si celava sotto. Però, quando stavano lì per uscire dall'aeroporto che, logicamente era pieno di gente che aspettava di prendere il proprio volo, o magari per qualcuno che stava aspettando l'arrivo di conoscenti dalla parte continentale di Shirya, Fenrir sembrò puntare letteralmente un chiosco dove venivano fatti dei gyoza sul momento. Il suo spirito da lupo lo implorava di sfamarsi, e lo stesso avvenne anche con Ragnar che, per un altro tipo di motivo, disse:«Papà, avrei un pochino di fame. Non mangio da ieri sera e beh... c'è un bel profumino» notava come egli si stava leccando le labbra proprio al solo pensare al cibo. Gli altri, tra facepalm e sospiri di rassegnazione, alla fine cedettero alla tentazione a loro volta, prendendo "d'assalto" il chiosco, per rifocillarsi. E con questo, i primi passi nello Shogunato erano stati appena compiuti, noncuranti di ciò che sarebbe avvenuto durante la loro permanenza, lì...
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Chronicles of a Sin: Divine Blizzard
Fantasy"Dopo le avventure nella nebbiosa terra di Aesir, e subito dopo la liberazione di questa dal dominio egemonico del Sacerdote, tutto sembra procedere per il verso giusto per la ricostruzione dei luoghi ridotti in macerie. Persino l'enorme Nazione del...