Capitolo 49

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"Le Ultime Parole"

C'era poco da chiedersi, a contemplare quella scena in cui un demone e, beh, Dio in persona, sedevano uno affianco all'altro. Lo si leggeva negli occhi del figlio di Luciftias che aveva cercato in tutti i modi di placare chiunque lo stesse controllando, fallendo miseramente, sfruttando di fatto le sue energie per quanto possibile. «Mio figlio sta bene, Iabes?» domandò lo Splendente, raggiungendo il centro dell'arena e, guardando la sua progenie, notando come questo, almeno, sembrava cosciente di sé stesso. «Per il momento è stabile, ma non so per quanto, ancora» rispose Lui, mostrandosi sincero rispetto alle condizioni di Lucifugo. Non aveva senso mentire spudoratamente, proprio dal fatto di come, ancora, egli non si sentiva sicuro affatto. Il padre di questo sospirò, guardando a terra quasi come se la colpa fosse la sua, forse anche dovuto al suo spirito paterno che possedeva, volendo a tutti i costi che suo figlio stesse bene. E no, non stava bene, affatto.
Poi, avvicinandosi ai due, e soprattutto al ragazzo, si inginocchiò all'altezza di questo, e tenendolo stretto tra le braccia, lo poté sentir dire, sottovoce:«Ho fallito» ah no, questo non lo avrebbe permesso. E proprio in quel momento, Luciftias alzò il viso del figlio da sotto il mento, guardandolo dritto negli occhi, ribadendo proprio quanto sbagliato fosse dir ciò:«E se tu hai fallito, allora lo abbiamo fatto tutti. Figlio mio, l'unico che ha fallito è quello là, ma nella vita» era quasi come se cercasse di stuzzicare chiunque fosse nella sua testa, facendosi sentire direttamente nei confronti di quello, non del figlio. Ad uno come lo Splendente non si poteva contestare nulla, perché la ragione era sempre stata sua vicina di casa, e il suo primogenito, sicuramente, aveva tutti i motivi per considerare le sue parole come vere.
Intanto però, Iabes si alzò, raggiungendo gli altri due déi, e dicendo loro:«La situazione è più grave di quello che pensassi. Devo tenerlo d'occhio. Non posso permettere che possa fare danni, ancora» e guardando proprio il Signore degli Astri, già sapeva che questo, sapiente com'era, aveva in mente bene o male la stessa idea. E anche dall'altro loro lato, con Eksarhiel quindi, pure ella pareva concorde su ciò. «Sei sicuro di voler andare con loro, però? Non sappiamo quanto forte possa essere chi lo sta controllando... e credimi, non mi perdonerei mai una scelta avventata, che possa anche solo metterti in pericolo» disse appunto Astreo, guardando Lui proprio con una certa e palese apprensione. Chi non avrebbe timore di perdere chi più si ha di caro, dopotutto? E quanta colpa ci si affibbierebbe per questo? Ma quella divinità lucente sapeva ancora di più quanto quelle parole pesavano sulle Sue decisioni.
Intanto, Luciftias si era appostato altrove nell'arena, scuotendo la testa come tempestato da pensieri che, a dirla tutta, parevano tutto fuorché benevoli. Non aveva visto, ma aveva potuto assistere all'udito tutto il marasma avvenuto, e tutto questo gli faceva male, da padre e da semidio quale era, anche dovuto alla sua radice familiare decisamente divina. Aveva lasciato un po' di respiro al figlio, ma non riusciva a farlo con sé stesso, proprio a causa del timore, più che palese, di perdere la sua fonte di gioia: il suo piccolo Lucifugo. Era un pensiero che lo affliggeva, lo attaccava nel profondo, e che andava a scavare nelle sue decisioni, a prescindere dal tipo di queste. «Io non posso permettere che tutto questo avvenga» pensò lui, crogiolando la testa verso terra, sconsolato. E dire che lui stava solo facendo quello che un padre, normalmente, mostrerebbe alla propria progenie, ossia presenza, amore, e protezione. Ma ora come ora, si sentiva quasi come incompleto in queste tre categorie. Aveva visto quasi morire suo padre, e ora lo aveva sentito attaccare persino Dio... e ciò lo faceva piangere nel profondo. «Perché... perché non potevo essere come loro? Perché?» di chi stava parlando era sicuramente una domanda grande quanto una casa, ma era proprio questo il punto: solo lui avrebbe dovuto saperlo. Però, quando egli sentì una mano posarsi sulla sua spalla, svegliandolo dai suoi pensieri, quasi pensò che fosse suo nonno, Iabes, forse spinto da un momento di simpatia per il figlio del Diavolo. Ma no, non era lui. Infatti, era più la presenza di suo figlio, il quale lo stava guardando con un accenno di preoccupazione. «Tutto bene, papà?» domandò il principino, avendo proprio visto quello sguardo mogio, affranto. Sapeva che il suo pensiero era rivolto unicamente al suo demonietto, ma vederlo così abbattuto, davvero, lo faceva star male. «Ho paura» mormorò il re, facendo intendere tante cose, e nessuna allo stesso tempo. «Hai paura di quello? Allora ti sottovaluti molto, papà» disse Lucifugo, ora sedutosi al fianco del padre. Gli si avvinghiò addosso, a mo' di koala, e nel farlo, disse inoltre:«E io non voglio questo. Non importa quante volte mi prenderà a sé, perché so benissimo quanto, in cuor mio, io valga più di quello. E poi... tu sei mio padre, colui che, assieme alla mamma, mi ha dato più sostegno sin da quando ero solo un piccolo demone. E davvero... non avrei vissuto in famiglie migliori come questa» questo era il Lucifugo che lo Splendente aveva visto nascere, e crescere. Quelle parole parevano come frecce che venivano scoccate, infilzando il suo cuore di un affetto semplicemente impressionante. E ora, guardando il figlio proprio con fare commosso, ecco che Luciftias proprio non poté contenere il suo sé stoico, lanciandolo al muro, facendo spazio proprio alle lacrime di gioia che gli stavano percorrendo le guance. «Non avrei potuto desiderare famiglia migliore come questa, figlio mio. E io sono fottutamente orgoglioso di essere tuo padre... di averti donato la vita, e reso quello che sei. E devo molto anche alla mamma, perché anche lei ha dimostrato tutto quello che serviva per essere genitore. Heh... pensa, io rivedo molte cose in te, per quando fui della tua stessa età» la risatina che emise lui, fece fare la stessa anche al figlio, il quale ascoltava il padre con fare interessato. Dopotutto, sì, sapeva molte cose di lui, ma in fin dei conti non aveva mai avuto modo né la voglia di aprirsi totalmente per quello che era il suo essere. Da re degli Inferi gli era molto difficile anche solo farlo. «Ero un piccolo distruttore, e ribelle quanto tuo nonno. Ma anche dalla mentalità fantasiosa, creativa. Ho dato voce e suono anche al vuoto stesso, rendendolo musica» e guardando chissà dove, all orizzonte, egli aggiunse, sospirando:«E ancora lo sto facendo. Ho dato voce e suono ad ogni cosa... anche a questo» quindi, tenendo le mani davanti a sé come se stesse tenendo qualcosa, infatti, si formò una chitarra elettrica, totalmente di un color oro luccicante, in pendant con tutti i dettagli dorati che egli aveva su di sé. Non vi era bisogno dell'amplificatore né di collegarlo a niente perché, singolarmente, sembrava in grado di emettere comunque lo stesso suono, vibrante e dalla grande potenza uditiva.
Lucifugo stette al suo fianco, avendo sempre ammirato la bravura con la quale il padre componeva le sue canzoni, e così come faceva con la madre, tanto voleva essere al loro livello, almeno in questo. Lo Splendente sorrise intanto, ma vedeva, e sentiva, come un'apprensione fuori dal comune, come se sapesse che stesse per avvenire un qualcosa di terribile. Ma ciò non lo fece demordere dal far valere la sua voce oltre le sue preoccupazioni, ed intanto che pure gli altri rivolsero lo sguardo su di lui, ecco che lo poterono sentir cantare. Era un tono delicato il suo, molto adatto alla canzone che avrebbe cantato al mondo che, beh, era attorno a lui. Solo che lui non lo vedeva realmente: ma vedeva solo lo spazio attorno a sé, e nient'altro. La musica lo portava altrove, al di fuori del concetto reale delle cose, come se le note fossero la sua mente e la voce il suo spirito. Ma quando le parole vennero emesse, era chiaro che qualcosa non andava, soprattutto dal tema stesso della canzone:«Questo non durerà
Quando l'energia mi rende apatico.
Io vedo- che ciò mi reclamerà
Mi consumerà, mi renderà parte di sé...
"Prendimi, sono qui" questo è ciò che vedi
Ora sai quanto son fragile...
Non voglio- affrontare la bestia che non hai creato perché in fondo non ne son abile!» persino Lucifugo non aveva idea del perché suo padre stesse dicendo tali cose. Era quasi come se, quello che lui ora stava vivendo, Luciftias lo aveva vissuto già di suo, in millemila modi diversi. Ma lo Splendente non se ne preoccupava molto, anzi, andava avanti per la sua strada, senza quegli sguardi attoniti del figlio e chiunque fosse lì ad ascoltarlo. E andava avanti, in modo sempre più discendente verso la distruzione, la sua distruzione:«Cara ombra, bentornata in me...
Mi sentivo solo quando tu
Andasti via da me...
Mia ombra... dall'anima piangente
Risalente da me
Divisa in due o tre!
O mia ombra... io ti dirò
Il piano per tornare al tuo viaggio
Ch'io vivrò
In ombra... la mia previsione sarà
Me stesso già saprà
Chi qui sopravviverà
E morirà...» era inutile farci troppi giri di parole, soprattutto per come il tema andava a rendersi più cupo ad ogni barra. Luciftias aveva vissuto tutto questo, a modo suo. E quando tutti ebbero modo di capirlo, probabilmente, non ci fu altro che un silenzio generato dal terrore: e se pure lo Splendente aveva avuto a che fare con l'essere senza nome né futuro, allora voleva dire che...
Sì, lui lo aveva vissuto. Però, una cosa non tornava, soprattutto nel testo stesso: chi erano questi "due o tre"? Cioè, sapevano ormai tutti che lui soffriva di crisi di personalità multipla, e già Ragnar ne aveva una fetta in sé grazie ad Àrsæll, però... due o tre? Da quanto ricordavano, lui aveva sempre avuto quattro personalità. A chi si stava riferendo, quindi? Il suo lamento rivolto al passato continuò ancora, con Lucifugo che, invece, davvero non riusciva a trattenere le lacrime, incredulo quanto tutti quanti:«Io scriverò di te
Ogni lacuna e tortura orribile
Io muoio- veloce quanto la mia mente
Dolorante nella mia missione...
Errori commisi, tu ti liberasti
Senza darmi modo di temerti
In tempo, ma vidi ciò che si cela
In questo cielo cupo e grigio
I miei me stesso ci stan già!» ancora una volta parlava per sé al plurale, come se davvero stesse rivelando al mondo intero il suo essere. Un essere complesso, molto diviso con qualcosa di ignoto ai più. Ma proprio per questo, la Trinità intera accennò un sorriso. Loro sapevano più di chiunque altro, e chiudendo gli occhi, quasi facevano intendere che, forse, stava cercando di far risuonare la sua voce come una sorta di invocazione per qualcosa di superiore.
E in quel mondo vuoto, bianco e senz'anima in cui Luciftias stava seduto, contemplando il niente, poteva davvero notare come la sua richiesta sembrava star avendo i suoi frutti, notando proprio una flebile presenza davanti a sé. Una presenza che lui odiava, ripudiava con tutto sé stesso, ma che non riusciva a liberare del tutto dal suo essere. E ancora, in un grido disperato, cantò le sue ultime parole:«Fin qui all'aldilà...
Con te resterò, non importa se io sono al di là
Resisterò, ma il mio corpo e basta
Perché l'anima più non resta!
Morirò per te...» ora ci vedeva più chiaro, e lo vedeva con precisione, in quella che si potrebbe definire la sua mente. Vuota. Sì, vuota.
La sua chitarra svanì dalle mani, e guardando la figura formatasi a qualche metro di distanza, aveva avuto modo di liberare il figlio dalla sua "morte". «Tutto molto commovente, Luciftias. Come sempre, ammetto che l'unica cosa che invidio di te, è proprio la tua arte» disse questo, battendo le mani, a rallentatore. Ma lo Splendente sentiva tutto in modo ovattato, non lasciandosi trascinare dal tono sarcastico, irritante dell'essere nella sua testa. «Non avresti dovuto anche solo avvicinarti a mio figlio, verme. Piuttosto, prenditela con qualcuno della tua taglia, no? C'è più gusto ad attaccare il pezzo grosso, piuttosto che i bambini» lo voleva affrontare, lì e ora, a discapito del pericolo. E se nella sua mente, egli era ben sveglio e pronto alla qualunque, al di fuori stava come dormendo, abbracciato alla sua chitarra.
L'essere sorrise nel suo solito modo, ora davvero trovando un avversario degno di questo nome, sapendo proprio quanto potente Luciftias era, dopotutto. «Hai ragione. Meglio strapparti quella sicurezza dalla faccia, e ridurti in poltiglia» ed in simultanea, i due estrassero le armi che, stranamente, erano le medesime. Non vi era un dettaglio differente, ma proprio le stesse spade. Era un altro riferimento a quanto vicini e simili fossero, i due. Ed in quello spazio vuoto, reso tale dalla mente del re, ecco che questo aprì anche le sue grandi ali dorate, e puntando l'arma davanti a sé, disse, con le fiamme che gli spuntavano dagli occhi, metaforicamente parlando:«Ti farò vivere l'Inferno da qui fino alla fine dei nostri giorni. Avanti, attacca!» detto fatto, quindi. Non ci pensò due volte a fare come detto, con l'essere che fu il primo ad assalire lo Splendente, mostrando sin da subito quanto potesse esser fastidiosa la sua presenza, anche in battaglia. Ma, pur mostrandosi decisamente più veloce del figlio del Diavolo, anche Luciftias sembrava darci sotto coi colpi, stando praticamente col paraocchi rispetto a ciò che stava attorno. E se la sua mente era la sua arena, allora aveva la possibilità di sfruttarla a suo vantaggio. Ne poteva ampliare e ridurre le dimensioni, creare qualunque cosa volesse: era lui il creatore nella sua testa.
«Saranno passati milioni di anni dall'ultima volta in cui ci siamo affrontati, e ancora sembri sempre e solo un inetto, eh?» disse proprio Luciftias, riuscendo a bloccare l'essere sul posto, prima di sferrare un colpo d'ali a questo, ricacciandolo indietro, prima di riapparire proprio a due passi da questo, in una sequenza di colpi che per qualche singolare miracolo, questo era riuscito a parare egregiamente. «Ma ho imparato anche dai migliori, in fin dei conti. In questa gabbia, ho visto coi vostri occhi, tutto quello che serviva per diventare migliore. E ora, quando arriverà il momento in cui sarai a terra... di te sapranno solo il nome» rispose quindi l'entità, respingendo il giovane diavolo con un'onda d'urto che, per essere nella sua mente, quasi la fece vibrare. Ma Luciftias, come già aveva dimostrato già di suo, sapeva benissimo come proteggersi e quando agire, attutendo l'urto per quanto meglio poteva, attraverso l'attrito fatto dalla spada sul vuoto che avevano entrambi, sotto di loro. Se lo ritrovò di nuovo contro, sapendo che mai avrebbe demorso anche solo un istante, costringendo lo Splendente a compiere gli straordinari per evitare il peggio. E se lì la lotta continuava imperterrita, al di fuori della sua mente vi era ben altro che tranquillità, proprio dal fatto di come quello che dicevano i due, beh... veniva riproposto attraverso la bocca, il suo corpo.
Il figlio non riusciva a sopportare l'idea di vedere suo padre soffrire in quel modo, pur standolo facendo proprio per difenderlo, con onore ed un senso paterno devastanti. «Ti prego, papà... non lasciarti sopraffare. Ti scongiuro» disse Lucifugo al corpo "dormiente" del padre, ancora in grado di sentire il suo respiro, ad indicare che comunque era solo in uno stato di incoscienza mentale. Voleva sentirlo parlare, vedere i suoi occhi brillare del solito oro che lo avevano reso unico nel suo genere.
E tornando alla lotta, questa sembrava davvero non finire mai, con lo Splendente e l'essere nella sua testa che proseguivano senza sosta, scuotendo proprio la realtà circostante come se niente fosse. E pur andando avanti imperterriti, la fatica era ben lungi dal far capolino nei due sfidanti, ma forse solo un colpo, un fendente od un'abilità, avrebbero messo in discussione questa totale parità. «Non finisci mai di stupire, eh?» disse la figura, in un vis-à-vis dovuto ad un colpo sferrato dall'altro, parato con prontezza da questo. Ma se uno agiva con circostanza e ogni tipo di accortezza, l'altro non ne sapeva proprio di fare lo stesso. Era impulso, quello dell'essere senza nome, e nient'altro. Ma proprio quello stesso impulso fu la ragione per la quale poi, lo Splendente venne investito da qualcosa... qualcosa di mai visto prima d'ora. Aveva avuto la possibilità solo di veder il suo sfidante alzare la mano libera verso l'alto, per poi trovarsi bersagliato da quelle che parevano sì lame, ma queste erano cosparse di un'energia che davvero, faceva venire l'orticaria pure ad un diavolo come lui. Ci mise un po' del suo, con stile e tanta, ma tanta tenacia, nell'evitare tutte queste, volandoci attorno nella speranza che questa pioggia letale finisse il prima possibile ma, ovviamente, ciò non fu. E proprio quando sembrava sul punto di trovare un punto libero per riposare un secondo le ali, ecco che, improvvisamente, si trovò l'altro alle spalle. «Stai a terra, uccellino» ed un colpo, quello forse meno augurabile, scaraventò sul pavimento di vuoto proprio chi sembrava star vincendo quella battaglia per il controllo. Solo... un urlo lancinante attraversò la gola e le labbra dello Splendente, notando proprio come, anche a causa della grande apertura alare che possedeva, praticamente se l'era affettate da solo con quelle lame, ancora rimaste conficcate nel suolo non esistente della sua mente.
E anche al di fuori di questa, le cose sembrarono precipitare vertiginosamente, quando tutti videro proprio il corpo del re dimenarsi come in preda alle convulsioni, oltre al suo respiro improvvisamente acceleratosi. «Oh cazzo! PAPÀ! PAPÀ!» gridò allarmato il figlio, scuotendo il corpo del padre nella speranza che si svegliasse, che sentisse il suo contatto. Anche Astreo fu accanto a questi, con egli che ovviamente sfruttò prima di ogni cosa i suoi poteri anche per tenerlo stabile. «No...» fu l'unica parola che disse Iabes, davvero quello più scosso tra quelli. Quella era la parola che andava a indicare che tutto questo, seriamente, stava finendo a meretrici.
E ciò si perpetuò anche nella mente, con l'essere che ora, atterrato proprio davanti allo Splendente, incapace anche solo di tenerla la spada, a causa del dolore fuori controllo che aveva alle scapole a causa delle ali mezze tranciate, afferrò proprio il diavolo per la gola, sollevandolo con una facilità disarmante da terra, prima di spaccargli la faccia a terra, ancora... ancora... anco---

Ma che? No, questo non era ciò che volevo! Basta, basta davvero, ti scongiuro! Fermati!- Fer... ma... ti...
«Fermarmi? Oh... lo hai voluto te, dopotutto»
Sto... so...gnando? Tu... tu non sei reale, non puoi esserlo!
«Io sono te, imbecille. Mi hai soltanto reso un pensiero perché ti sentivi imperfetto. Ora voglio che tu mi liberi, e che possa finalmente dare una bella svolta a questa storia. O verrò a prendere anche te.»
Meglio morire, piuttosto che ascoltare un pezzo di merda come te. Torna là dentro, e taci.
«Non prendo ordini da te, né da nessuno. Liberami.»
MAI!
«Peccato... ora posso dire quindi di essere al comando di questa roba. Mi divertirò un po', mentre tu stai lì... piangi... fallo. Voglio vederti sgorgare quelle lacrime come fosse una fontana. Voglio il tuo dolore. E ne farò nutrimento di questo.»
L'unico che non prenderai mai, è chi invece questa storia la sta conducendo davvero, bastardo. E no, non piangerò per la tua carità mai esistita. Ma sappi solo questo... loro sapranno della sua esistenza, e del tuo nome. E quel giorno, sarò io a vederti chieder perdono.
«Sì, sì, come no...»

«No... papà...» sentiva il corpo freddo, immobile, dello Splendente, senza neppure più un singolo respiro fuoriuscire dalla sua bocca. Tolse le mani da egli, come se stesse macchiando quella scena del crimine con le sue impronte digitali, prima di scappar via, in un tumulto infinito di tuoni udibili ben oltre il cielo. Era morto, e morto era pure Lucifugo, nell'animo. Aveva fatto così tanto per proteggere il figlio, addirittura affrontando a viso aperto quello che lo controllava, ma fallendo. Scoppiò in un pianto che da definire straziante era quasi un complimento, stavolta avendo tutti i motivi di questo mondo per sentirsi distrutto. E ora, era solo, lì in preda ad un attacco di pianto, di isteria totale, con gli altri che erano davvero incapaci di dire una singola parola né di muoversi. Erano come paralizzati davanti a quella scena. Ogni colpo che dava a terra col pugno, risuonava nell'intero Aere Caeli come se un fulmine stesse abbattendosi su esso, mentre le sue lacrime ne crearono una vera e propria tempesta, un acquazzone epocale, senza fine. Nessuno sapeva cosa fare, ora.
«Perché... perché te ne sei andato... papà, io... IO NON VIVO SENZA DI TE!» gridò ancora il principino, incapace di svegliarsi da quell'incubo ad occhi aperti, ma guardando quel corpo in lontananza, bagnato di quella pioggia che il Portatore delle Tempeste stava rilasciando. E ancora, si sentiva sempre più solo, col cuore in pezzi e l'anima in guerra con tutto quanto. Ma proprio quando avrebbe preferito davvero evitare di dar aria alla bocca, prese istintivamente il telefono e, digitando un numero praticamente alla velocità della luce, chiamò qualcuno che, beh... sapeva benissimo che avrebbe risposto.
«Mamma... papà è... è morto...» disse lui, ancora singhiozzando in modo decisamente straziante, mentre dall'altra parte, quasi chiunque poté sentire il grido di lei, alla notizia più scioccante che potesse mai ricevere dal figlio:«COSA CAZZO STAI DICENDO?! KAIYO, DOVE SEI, ARRIVO SUBITO» non ebbe neppure il tempo di rispondere che, letteralmente attraverso un tornado generato dal nulla... un tornado che più nero non si poteva, una figura femminile si mostrò, letteralmente sopraelevata rispetto a tutti i presenti. Non ci mise un istante di troppo per raggiungere il corpo del marito che, proprio come il figlio, aveva le lacrime agli occhi, ed un odio, ma un odio raggelante verso chiunque avesse ucciso il suo Splendente. E quando Lucifugo le fu accanto, si ritrovò addosso proprio la madre, coi due che, proprio, non potevano far altro che riversare questo odio, e questa disperazione nei loro esseri. Praticamente stavano devastando Aere Caeli da soli, e avevano tutto il motivo per farlo, soprattutto per come il tutto si era mostrato.
«Io non oso immaginare Lucifero e Lilith quando lo verranno a sapere» disse Eksarhiel intanto, sottovoce, guardando quella scena in maniera davvero sconsolata. E guardando il Signore degli Astri, ed anche Lui, chiese timidamente, con una flebile, davvero debole, speranza:«Per caso... c'è modo di far qualcosa per riportarlo fra noi? Anche solo in modo temporaneo?» ma coi due che scossero il capo, anche quella speranza le venne strappata dai pensieri, davvero senza un briciolo di voglia di fare altro se non contemplare quel punto, in silenzio. Il silenzio dei morti era triste, orrendo, semplicemente deleterio. «Combatterò per te, papà...» sospirò Lucifugo, guardando ancora una volta il corpo deceduto del padre, mentre la madre, invece, disse:«Renderemo onore allo Splendente. Al mio amore e guida. A chi mi ha ridato il sorriso sulle labbra... non ti dimenticheremo, Luciftias»...
sì... lode allo Splendente...

Chronicles of a Sin: Divine BlizzardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora