Capitolo ventiquattro

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Irwin entrò nell'ambulatorio del neurologo con un nodo allo stomaco, come ogni mese. La sala d'attesa era silenziosa, illuminata dalla luce fredda dei neon, con i soliti arredi minimalisti e quelle riviste vecchie sparpagliate sui tavolini. Ne afferrò una, e roteò gli occhi quando si vide in copertina: IL RE RICORDA DI ESSERE RE? di Katy Blendell. Sbuffò e la lanciò sul tavolo. Era già abbastanza nervoso senza che Katy Blendell insinuasse che non fosse un buon re. Per qualche motivo, quella giornalista ce l'aveva con lui: chissà cosa aveva combinato per ricevere tutto quest'odio da parte sua.

Il tempo sembrava rallentare mentre fissava il pavimento, aspettando che il medico lo chiamasse. Le mani di Irwin tremavano leggermente, nascoste nelle tasche della giacca. Era stanco, il peso dell'incertezza lo schiacciava sempre di più, aggravato dai continui mal di testa che si erano fatti più intensi nelle ultime settimane.

"Signore?" C'era una bimba, qualche sedia più in là, che lo stava osservando con occhi grandi e curiosi. Avrà avuto otto o nove anni, con lunghi capelli castani raccolti in due trecce e un vestitino color lavanda che sembrava un po' troppo leggero per la stagione. Teneva stretto un peluche consunto, un coniglio dalle orecchie flosce e il muso leggermente scolorito. "Ma tu sei il re?"

Irwin le sorrise, cercando di dissipare la tensione che gli stringeva il petto nel vedere una bimba da sola. Evidentemente sua madre era dentro a parlare con il dottore. "Sì, piccola. E tu sei...?"

"Sono Lizzie. E lui è Toppy." Spiegò, sollevando il suo coniglietto di peluche.

Irwin si spostò su una sedia più vicina. "Un bel nome," disse, annuendo con serietà. "Scommetto che Toppy ti tiene compagnia nei momenti difficili, vero?"

La bambina annuì lentamente, stringendo un po' di più il peluche. "Sì, è sempre con me quando vado dal dottore."

Irwin la osservò per un momento, vedendo la preoccupazione nei suoi occhi. "Anche io sono qui per vedere il dottore," disse con tono confidenziale. "A volte fa un po' paura, vero?"

"Sì," rispose lei, la voce appena un sussurro. "Ma mamma dice che il dottore mi aiuterà a stare meglio."

Irwin sorrise con calore. "Tua mamma ha ragione. E sono sicuro che Toppy ti darà la forza che ti serve. E poi," aggiunse con una piccola risata, toccandole il naso con un indice, "Io penso che anche tu sia molto coraggiosa."

La bambina lo guardò, visibilmente più rilassata. "E tu? Sei coraggioso?"

La domanda lo colse di sorpresa. Irwin espose un'espressione pensierosa, cercando le parole giuste. "A volte lo sono. Altre volte, ho paura, proprio come te."

La bimba si strinse nelle spalle. "Essere coraggiosi non significa non avere paura, ma sapere che possiamo affrontarla e continuare a sorridere nonostante tutto."

Irwin la osservò, stupito. "Hai- hai ragione." Le sorrise. "Sei molto saggia, lo sai?"

"Grazie!"

Proprio in quel momento, la madre di Lizzie uscì dallo studio con il mascara scolato e il naso rosso. "Lizzie? Tesoro? Andiamo a casa, vieni."

La bimba sorrise, si alzò e si sistemò il vestitino. "Arrivederci, signore!"

"Arrivederci, piccola coraggiosa." Irwin le fece un sorriso forzato, trattenendo le lacrime e sapendo dalla faccia della madre che non si sarebbero mai più rivisti. "E fai ridere la mamma, mi raccomando." La bambina gli fece un piccolo cenno con la mano, leggermente confusa dalla sua ultima affermazione. Poi afferrò il braccio della madre e uscirono dallo studio.

Proprio in quel momento, una voce gentile chiamò: "Sire?" Il neurologo, un uomo di mezza età con occhiali dalla montatura sottile e un'espressione seria, lo attendeva sulla soglia della porta.

Irwin annuì e si alzò, seguendolo in silenzio. Lo studio era piccolo ma ordinato, con pareti piene di diplomi e certificati. Il medico indicò una sedia accanto alla scrivania, e Irwin si sedette, cercando di rilassarsi.

Dopo aver consultato le cartelle cliniche e osservato Irwin con un'aria professionale ma preoccupata, il neurologo si sistemò gli occhiali sul naso e parlò con tono misurato. "Irwin, temo che i risultati degli ultimi esami non siano buoni," disse il medico, con quella calma che sapeva essere necessaria ma che Irwin percepiva come un peso insopportabile. "C'è stato un peggioramento. I mal di testa e i vuoti di memoria che hai descritto sono segni che la tua condizione sta progredendo."

Irwin sentì il sangue gelarsi nelle vene. Non era del tutto sorpreso – dentro di sé lo aveva già intuito – ma sentire quelle parole lo fece vacillare. Un lungo silenzio seguì, mentre il re cercava di trovare le parole. "E cosa significa... esattamente?" chiese infine, la voce appena un sussurro.

Il neurologo lo fissò con sguardo comprensivo. "Significa che dobbiamo essere più vigili. Potrebbe essere necessario cambiare il trattamento, intensificarlo. Ma soprattutto, dovresti parlare con chi ti sta vicino. Non affrontare tutto questo da solo, Irwin."

Irwin abbassò lo sguardo, stringendo i pugni sulle ginocchia. L'idea di confidarsi con i suoi amici lo spaventava più dell'amnesia stessa. Li immaginava già, preoccupati, confusi, pronti a proteggerlo, ma anche a tenerlo lontano dalle responsabilità, a escluderlo dalle decisioni importanti. L'ultima volta che era successo, si era sentito come un fantasma nel suo stesso regno, un re in nome soltanto. E questa volta? Sarebbe stato peggio. Avrebbero cercato di tenerlo al sicuro, ma l'avrebbero allontanato ancora una volta dalla vita che amava.

"No," disse alla fine, più a se stesso che al medico. "Non posso dirglielo. Non adesso."

"Mi avete detto che i mal di testa aumentano quando state con il signor Marblewing." Il neurologo lo osservò in silenzio, riconoscendo la paura negli occhi di Irwin. "Lui che ne pensa del suo peggioramento? Scommetto che lui-..."

"Lui non lo sa." Rispose digrignando i denti. Vedendo lo sguardo confuso del medico, lui sospirò. "James è l'ultima persona a doverlo sapere. Se sapesse che i miei mal di testa sono collegati a lui-," sospirò. "Lui- mi taglierebbe di nuovo fuori dalla sua vita."

Il medico spalancò gli occhi. Bingo. "Di nuovo? In che senso, di nuovo?" Prese il taccuino e cominciò a a scrivere freneticamente. Irwin fece per sbirciare ma il medico glielo impedì. "No. È privato."

Irwin fece un sorriso. "Cambierebbe qualcosa se le ordinassi di farmelo vedere perché sono il re?"

Quello strinse le labbra. "No." E riprese a scrivere. "Quindi, che significa di nuovo?"

Irwin scrollò le spalle. Perchè, all'improvviso, stava scrivendo sul taccuino? Cosa era cambiato? Un semplice avverbio lo aveva fatto scattare: questo significava che il dottore sapeva che i suoi amici gli stessero nascondendo qualcosa. E anche lui gli stava nascondendo qualcosa. Ed Irwin era anche abbastanza sicuro di aver capito cosa. Ma non poteva lasciare che il dottore lo riferisse ai suoi amici. Non voleva che James si illudesse, perciò: "Ho detto James?" Disse, fingendosi innocente. "No, intendevo tutti. Mi hanno un po' escluso quando ho perso la memoria e non voglio che accada di nuovo. Semplice."

Il neurologo annuì, ma era chiaro che non fosse convinto. "Va bene, Irwin," rispose con calma, riponendo il taccuino sotto la scrivania. "Ma ricorda che non sei solo. Quando sarai pronto, loro saranno lì per te. E io, ovviamente, sono qui per aiutarti a gestire la situazione, qualunque cosa accada."

Irwin sorrise. "Certamente, dottore." Si esibì in un sorriso cordiale e lasciò lo studio. Non prima però di aver attirato a sè il taccuino senza che il neurologo se ne accorgesse.

I Ricordi Di Alvagar -Il Medaglione Di Alvagar 3-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora