Capitolo uno

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RESIA

Sono come al solito in ritardo, ho tanti pregi, ma la puntualità non è inclusa nel pacchetto. Mentre Dio consegnava gli orologi, io ero in fila per altro.

«Resia, sbrigati. Domenico è giù che suona il clacson. Se lo fai attendere ancora se ne andrà e io non intendo accompagnarti a scuola» urla mia madre dalla cucina.

«Su sattimo» blatero in risposta, mentre mi lavo i denti.

Sono sicura che ha capito. È abituata ai miei discorsi sconnessi con lo spazzolino e riesce sempre a decifrarli. Forse è per quello che si dice la mamma è sempre la mamma.

Lancio un gridolino esasperato, mentre mi guardo allo specchio.

Non ho tempo di sistemarmi e sono davvero impresentabile. Ho gli occhi nocciola semichiusi dal sonno, le labbra gonfie e le guance e il naso ancora arrossati. I capelli, castano scuro con delle striature rossastre, sembrano appena usciti da una battaglia con il cuscino; ovviamente hanno perso. Cerco di districarli con scarsi risultati, ma hanno un verso tutto loro, forse è meglio lasciar perdere piuttosto che tentare di dargli una vera forma.

Corro verso la cucina, do un lieve bacio sulla guancia a mamma, che mi passa al volo un toast con la nutella e raggiungo Domenico, trafelata. Mi aspetta sul suo Piaggio Liberty grigio nuovo di zecca, già col casco in testa e un'espressione collerica.

Oh no, Toro Seduto, povera me!

Solleva altero le sopracciglia e sbuffa. «Anno nuovo, vecchi ritardi» mi canzona.

Gli do un bacio sulla guancia e lo saluto. «Ti voglio bene anche io, buongiorno.»

È il mio vicino di casa, siamo cresciuti insieme, abbiamo entrambi diciassette anni e lui frequenta l'Istituto tecnico economico, ITE, nel mio stesso plesso.

«Sali» borbotta.

Quando partiamo mi sorbisco con poca grazia il primo insopportabile sermone dell'anno a cui rispondo con monosillabi tra uno sbadiglio, uno sbuffo e un'addentata al mio toast, meno di cinque minuti dopo, stiamo già sfrecciando nel cortile della scuola.

Per raggiungere l'edificio bisogna percorrere un vialetto, costeggiato da alte mura, al di là delle quali si intravedono delle casette in costruzione e dei grossi alberi. Il percorso è sempre gremito di studenti e anche oggi dobbiamo zigzagare per evitare di investire qualcuno. Fortuna che ha una guida molto sportiva, altrimenti collezionerei un paio di rapporti a settimana a causa dei miei continui ritardi.

Mi guardo intorno e provo una strana emozione. Mi sento sempre così, l'ennesimo primo giorno di scuola di un nuovo anno: patetica ed euforica come una poppante. Vedo delle facce nuove, ragazzini del primo anno esaltati per la nuova esperienza, ai quali mi paragono per lo stesso entusiasmo, anche se ormai sono al quarto, nonché i soliti vecchi visi degli anni scorsi un po' stanchi, musoni e scocciati: avrebbero preferito di gran lunga che fosse ancora estate; glielo leggo negli occhi e nei sorrisi tirati che indossano.

Parcheggiamo il motorino e scendo. Sorrido, distendo le braccia lungo il corpo e mi sgranchisco le gambe. Sollevo gli occhi verso il cielo e mi lascio andare a un sospiro deliziato: sono di nuovo qui, non mi sembra vero.

«RESIA» urlano Diana e Giulio in coro, correndo verso di me.

Uh mamma, sembrano una coppia di scimmie salterine.

Mi stritolano tra le braccia, salutando a stento Domenico, che ci fissa inorridito e se ne va senza proferire parola. Eh già, i miei amici sono plateali, ne sono consapevole, ma insieme formiamo un gran bel trio.

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