Capitolo trentuno

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                               RESIA

Sono seduta al suo fianco, non gli ho chiesto quale posto preferisce, del resto era facile intuirlo. All'andata per tutto il viaggio ha osservato il paesaggio dal finestrino e adesso son ben felice di concedergli quel lato. Mentre il treno avanza sulle rotaie, però sembra perso nella contemplazione della nostra terra e mi ignora. Vorrei piazzarmi davanti a lui e urlargli che esisto pure io, ma sembrerei una stupida e ovviamente non lo faccio. Mi sgranchisco un po' le gambe e poggio il capo sullo schienale.

Un sorriso incurva le mie labbra al ricordo della strana mattinata trascorsa; non avrei mai immaginato che potessi divertirmi così tanto, ma da quella strana tregua io e Mattia siamo diventati un tutt'uno e devo ammettere che la cosa mi è tremendamente piaciuta.

Da quando lo conosco non mi era mai capitato di passare tutto questo tempo con lui. Abbiamo fatto un giro su tutte le giostre del parco, aveva una faccia così strana, credo soffra di vertigini anche se non l'ha detto, forse non voleva fare brutta figura. Credo abbia accettato la proposta solo per farmi contenta. Quel gesto mi ha lusingato, per una volta mi sono sentita speciale per lui e mi ha reso felice come non mi capitava da tempo.

Ora però che è tutto finito e stiamo tornando a casa, devo riconoscere che ho paura. Temo che dopo questa splendida mattinata possa concludersi la nostra breve pace. Solo che ho scoperto quanto può essere bello fra noi due se lui non si comporta da rozzo cavernicolo e non sopporterei di rivedere un'altra volta i suoi musi lunghi, né tanto meno tollererei le solite provocazioni infantili che mi riserva a scuola.

Insomma non mi va di litigare con Lucifero, perché quando siamo in pace mi sento più raggiante.

«Che pensi?»

Sollevo il volto verso di lui, staccandolo dal sedile, a quanto pare il paesaggio non ha più la stessa attrattiva perché ora i suoi occhi sono puntati su di me.

Gongolo soddisfatta, ma il suo sguardo profondo mi fa sentire fuori posto. Cerco di sistemarmi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, sicuramente avrò un aspetto trasandato. Mi pento di non essermi neanche guardata allo specchio quando siamo usciti dal parco.

«Mi sono divertita tantissimo» rivelo, sorridendo timida.

Dopotutto oggi sono stata bene con lui, non voglio erigere di nuovo un muro tra noi. Non so perché, ma sono sicura che non mi prenderà in giro per questa piccola ammissione.

Sorride in risposta, scostandomi un'altra ciocca e piazzandola dietro l'orecchio proprio come avrei fatto io stessa; nel gesto incontra la mia mano e rimaniamo un attimo così: occhi negli occhi, immobili, mentre le nostre dita si sfiorano a vicenda.

«Anche io sono stato bene con te.»

Abbassa lo sguardo, poggiando entrambi i palmi sulle gambe e stringendo un po' il tessuto del jeans, quasi si sentisse a disagio ad ammettere un suo stato d'animo. All'inizio sembrava tanto spavaldo, ma in fondo è riservato, non ama esternare quello che sente. Me ne sono accorta quando l'ho ringraziato per il sacchetto di patatine, è subito scappato via, lasciandomi come una deficiente in quel bar, sorpresa e indispettita al tempo stesso.

Lo guardo, soffermandomi sulla piccola ferita.

«Come va il bernoccolo?»

Non riesco a trattenere l'impulso di accarezzare quel piccolo dosso che ora gli solca la fronte, difatti passo con delicatezza le dita sul gonfiore, quasi volessi per l'ennesima volta alleviare il dolore che sente.

«Ti preoccupi ancora, eh? All'inizio hai riso come una cretina per un quarto d'ora» mi rimprovera, eppure il suo tono è dolce, non canzonatorio e un sorriso gli incurva il volto.

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