Capitolo cinquantaquattro

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                                 MATTIA

«Sei un cretino.»

Siamo in un bar affollato, non avevo voglia di rimanere solo a casa a rimuginare sulle mie cazzate e ho chiesto loro di vederci, speravo di distrarmi invece non ho fatto altro che parlare di Resia.

Guardo in cagnesco prima Veve' che ha parlato, poi Federico che ride sguaiato.

«Cosa c'è di tanto divertente?» sbraito, nervoso.

So di essermi comportato da sciocco a lezione e volevo pure rimediare, ma non ne ho ancora avuto modo.

«Adoro quando ti chiama cretino» sghignazza Federico mentre la mia voglia di strangolarlo aumenta a dismisura. Perché mi è capitato un compagno così stronzo? Gli ho presentato Veronica dopo una festa, da allora ci siamo incontrati spesso dopo il lavoro per bere qualcosa insieme.

«Si può sapere che accidenti ci fai qui? Chiamala oppure va da lei e non romperci le palle.»

Si guarda intorno, sbuffando in maniera poco signorile. È proprio un maschiaccio, così diretta e di poche parole.

Un ragazzo passa davanti a noi e quasi inciampa mentre le fissa il davanzale in bella vista.

Alzo gli occhi al cielo. Dimentico sempre che quando non veste i panni dell'animatrice è una grande gnocca. Sarà che a me non interessa affatto.

«Non ho il suo numero» ammetto.

«Ma che razza di fidanzato sei!» esclama, perplessa.

«Sei proprio un disastro. Ho il numero di Diana da un secolo e neppure stiamo insieme» rincara la dose, Federico.

Beh, in effetti non fa una piega, eppure tra me e Resia è tutto diverso. Nulla segue l'ordine normale di una relazione.

«Ci sono» esclama Veve' e stavolta sia io che Federico la fissiamo scettici, così sbuffa ancora e aggiunge, «Siete proprio due cretini.»

Inspiro. «Quindi quale sarebbe la tua soluzione, genio?»

Lei per tutta risposta, ride. «Semplice, elementare... Federico si fa dare dall'amica il numero di Resia.»

La abbraccio di getto senza riuscire a contenermi. Come ho fatto a non pensarci prima? Sono davvero un cretino!

Si scosta lenta da me, non è abituata alle mie improvvise effusioni d'affetto, in realtà neanche io lo sono, però ho imparato ad aprirmi di più.

«Così mi fai terra bruciata intorno» si giustifica, ma non ce n'è bisogno perché ormai sono già balzato all'indietro, con le mani ben nascoste nelle tasche del jeans per evitare altri colpi di testa.

Passiamo la mezz'ora successiva a cercare di rintracciare Diana che non si degna di rispondere a Federico. Nel frattempo Veve' scompare con un tipo che le ha fatto delle avances e Federico si scola prima un paio di drink e poi fa gli occhi dolci alle ragazzine che ci ridacchiano intorno. Io desidero solo chiarire con Resia.

Quando Diana finalmente si fa viva, Federico le chiede di incontrarsi e poi attacca, esultando come un coglione. Sbuffo non appena riposa il telefono e mi fissa con quella faccia da babbeo che si ritrova. È scimunito o che cosa? Lo costringo a richiamarla, ricordandogli che doveva chiedere altro e non fissare un appuntamento. Non appena mi asseconda, passandomi il numero di Resia, lo pianto in asso.

«Bell'amico» urla alle mie spalle, ma il tono non è di rimprovero, in fondo lui stesso a breve raggiungerà Diana. Che pretende da me?

«Non far danni» lo saluto mentre mi allontano,

Sorride spavaldo in risposta.

Credo che stanotte avrà una fidanzatina anche lui e che, come me, si ritroverà spesso sul piede di guerra.

Salgo in macchina di tutta fretta, in realtà non so bene cosa fare, mi sento impacciato ma sono stanco di rimuginare e sprecare altro tempo.

Le dita mi tremano mentre digito per la prima volta il numero della mia ragazza.

Risponde dopo due squilli, mi limito ad abbozzare uno ciao a fior di labbra, perché quando sento la sua voce il cuore mi batte furioso in petto e un nodo mi stringe la gola, impedendomi di aggiungere altro. Lei mi riconosce subito. Prima sospira, poi parte alla carica. È arrabbiata, mi fa notare che non è facendo una sceneggiata che si affrontano i problemi. È delusa e stavolta ha ragione lei.

Le racconto che ho tentato di convincere la professoressa e che mi sono scusato con lei, tirando acqua al mio mulino. Sembra meravigliata, non si aspettava che tornassi sui miei passi sapendo quanto sono orgoglioso.

E poi... nemmeno lei ama litigare con me perché sento che a poco a poco si scioglie e i suoi toni diventano meno astiosi, più comprensivi.

Quando le rivelo, nemmeno un quarto d'ora dopo, che sono sotto casa sua, ridacchia e mi dice che sono un pazzo. Sento un tonfo, è balzata giù dal letto e avverto con chiarezza che traffica con la porta dell'armadio, probabilmente per trovare qualcosa di decente da indossare.

«Non metterci un secolo» dico, ansioso di vederla.

Ho bisogno di stringerla fra le mie braccia, inspirare il suo buon profumo e sentire che è ancora mia.

«Spegni la macchina» risponde affannata.

Alzo gli occhi al cielo. Chissà che diavolo starà combinando quella matta!

Mi scappa un sorriso.

«Ti aspetto» ribatto prima di attaccare, e, ahimè, ho sempre quello stupido sorriso stampato in faccia.

Ti aspetto. Ti aspetterò sempre, costi quel che costi!

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