Capitolo ventuno

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                                   MATTIA

«Grazie, caro» dice, gettandomi le braccia al collo.

Sono al corso di recitazione, riccioli castani mi solleticano il collo e il suo profumo, decisamente troppo forte, mi invade le narici.

Trattengo uno starnuto e mi scrollo le sue mani di dosso, allontanandomi di un passo. La guardo malevolo, però, lei continua a sorridere lusingata, neanche le avessi appena fatto una dichiarazione d'amore.

Ancora lei: Katiuscia. Non ha tutte le rotelle a posto a quanto pare.

La osservo di sottecchi, mio malgrado devo ammettere che è carina, se non fosse per quella stridula risata e la sua altezzosità, forse l'avrei pure tollerata. Il mio problema è che adesso ho altro per la testa e lei mi sta sui coglioni, non in senso letterale, per fortuna! E poi...

Mi monta subito una forte tensione. «Che diamine avevi in testa quando hai incollato Resia a quella dannata sedia?» sbraito, poco amichevole, ricordandomi di quell'assurdo tranello.

Se ieri l'avessi avuta per le mani probabile che l'avrei strangolata, invece ho avuto un giorno per metabolizzare e riacquistare il lume della ragione.

Finalmente lo stupido sorriso che la contraddistingue le abbandona il volto, solleva un sopracciglio accigliata e tira un lungo sospiro prima di rispondermi, quasi volesse a ogni costo mantenere il controllo.

«Devo dedurre che quella scatola di cioccolatini non sia un gesto per farti perdonare della tua solita scortesia!» risponde, abbozzando un'espressione delusa, poi si sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio e poggia una mano sul fianco.

Non capisco come possa mantenersi in equilibrio su quei trampoli e perché si ostini a calzarli per una maledetta lezione di teatro ma, soprattutto, non comprendo cosa stia blaterando.

Che c'entrano i cioccolatini con la colla sul culo di Resia?

Sbuffo, ma riassumo subito un aspetto composto, se non mantengo il controllo rischio di impazzire. «Ti ho fatto una domanda» ribadisco, senza scompormi.

Stavolta voglio vederci chiaro e desidero che la smetta con quegli stupidi scherzi.

«Non ti impicciare» taglia corto, facendo spallucce, si allontana verso la sua seduta e solo allora noto una ridicola scatola a forma di cuore sul suo banco. Scarta veloce quel fiocco rosso troppo grande e pomposo per i miei gusti.

Vomitevole, il giorno in cui impacchetterò un simile obbrobrio mi avvierò da solo alla gogna per scontare la pena capitale.

Mi accosto a lei. Può anche ignorarmi per il resto dei suoi giorni, cosa che non mi dispiacerebbe affatto, ma oggi mi deve delle risposte e non intendo rinunciarvi.

«Allora?» la incalzo, desideroso di capire qualcosa in più su quell'infantile faccenda.

«Ne vuoi? Qualcuno, a quanto pare non tu, ha deciso di omaggiarmi per la mia bellezza» si pavoneggia, offrendomi un cioccolatino.

Rifiuto, facendo un cenno negativo col capo e le poggio una mano sulla spalla. Detesto le persone presuntuose anche se devo ammettere che anche io faccio parte della categoria.

«Ascoltami bene. Non mi interessa un fico secco di questi dannati cioccolatini o chi sia il cretino che abbia deciso di omaggiarti per la tua bellezza» la scimmiotto sarcastico.«Sinceramente non voglio neanche più sapere perché vi diate il tormento a vicenda, ho perso la mia fottuta pazienza e mi sono scocciato di arrovellarmi sulla vostra immaturità, ma tu smettila di giocarle brutti tiri o dovrai vedertela con me.»

Mi volto di spalle e la abbandono, accorgendomi solo allora che tutta la classe ha lo sguardo incollato su di me. Fischi di apprezzamento si sollevano tra la folla di ragazzi. «Era ora che qualcuno desse una lezione a quell'arpia» sento sussurrare, mentre ricevo una pacca amichevole sulla spalla, eppure il mio sguardo si inchioda alla ragazza che invece mi guarda in modo tutt'altro che compiaciuto.

Ero appena entrato in classe quando quella piovra mi ha accerchiato e non mi ero accorto ci fosse già anche Resia. Dovrebbe essere felice che l'abbia difesa, ma invece è come al solito accigliata. E ti pareva! Sono tentato di battere in ritirata, non sono dell'umore adatto per un altro scontro, ma quando si tratta di lei, non riesco a fare retromarcia, desidero talmente tanto un contatto che mi accontento anche di uno squallido scontro.

La raggiungo e non faccio in tempo ad aprir bocca che subito mi attacca. «Non sono immatura e non ho bisogno di un avvocato.»

«Ah... te la sei presa per quello!» sbuffo. «Possibile che non ti vada mai bene nulla?» mi lamento.

È bella anche quando è indispettita, il suo aspetto diventa più selvaggio e provocatorio perdendo quell'alone di innocenza che la contraddistingue.

«Tu non mi vai bene, è diverso!» chiarisce scontrosa.

Mi punta il dito contro e io ho una voglia matta di prenderle fra le mani quella testa bacata che si ritrova e scuoterla fin quando non recupera il senno.
Perché non si accorge che le sue parole mi feriscono? Perché non capisce che l'unica cosa che voglio è il suo bene? D'accordo, non sono un grande esempio di civiltà e educazione, e neppure un romanticone d'altri tempi, ma mi pare che con lei stia facendo il possibile per guadagnarmi un minimo di stima, invece ogni passo che avanzo, lei retrocede di un paio, innalzando un maledetto muro.

«Tu mi vai bene, eccome, cazzo!» sbraito nervoso, mentre ho una voglia pazzesca di abbracciarla e poggiare le mie labbra sulle sue, così che la smetta di usare quella lingua biforcuta soltanto per screditarmi e la utilizzi per lottare con la mia su un ring del tutto diverso e decisamente più allettante.
Un urlo isterico però attira la mia attenzione e mi volto subito verso l'autrice di quel grido: Katiuscia è mezza accasciata sul banco e con una mano si tocca l'addome mentre con l'altra si tampona la bocca, non riuscendo però a evitare il flusso marrone che ne fuoriesce.

Solo allora una piccola lampadina si illumina nei meandri della mia lente sull'ammiratore segreto e i cioccolatini. Ora mi è tutto chiaro e purtroppo non riesco a trattenere il disappunto.

Mi volto verso Resia, più deluso che mai. «Sei proprio una ragazzina, peggio di lei. Non pensavo ti abbassassi a simili livelli» la rimprovero acido, prima di allontanarmi per scappare da quella fottuta aula, da lei, dai sentimenti che inizio a provare e che mi spaventano tanto sono intensi. 

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