Capitolo diciotto

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                                   RESIA

«Sei un idiota» blatero isterica, sciogliendomi dal suo abbraccio.

Le sue labbra, così pericolosamente vicine alle mie, mi stavano prosciugando, abbeverandosi delle mie sciocche lacrime. Non volevo frignare come una ragazzina e scappare dall'aula però la mia vista non era disposta a tollerare un bacio tra lui e la mia acerrima nemica.

No, non sono gelosa, ma non sopporto Katiuscia e quel deficiente invece le sembra molto vicino.

Mattia mi afferra dalle spalle, costringendomi a fissarlo, non mi riesce difficile guardarlo con acredine tanta è la rabbia che sento montare dentro, eppure le gambe diventano mollicce e il cuore comincia a battere all'impazzata, quasi temo che lui possa sentirne la frequenza e accorgersi della mia infantile e ingiustificata debolezza.

È irragionevole che la sua vicinanza mi procuri un simile turbamento. Mi sento una stupida marionetta, i cui fragili fili sono manovrati da mani sapienti, le sue... e, io, incapace di governare un qualsiasi muscolo, resto impotente dinanzi alla maestria dell'abile burattinaio.

«Lasciami» sussurro con riluttanza, una parte di me desidera esattamente l'opposto, ma devo a tutti i costi ignorarla.

Mattia non allenta la stretta, anzi mi cinge ancora di più con un braccio e con l'altra mano mi solleva il mento, fissandomi sconcertato. Pare quasi che non trovi le parole, fatto alquanto strano, visto che di solito è sempre pronto a ferirmi con una delle sue taglienti battute.

Mi svincolo ancora una volta e muovo qualche passo dandogli le spalle.

«Maledizione! Ti ho già chiesto scusa, vuoi che ti implori di perdonarmi?»

Il suo sguardo è rabbuiato, si colora subito di tensione e il tono diviene irascibile perdendo la dolcezza e il tatto che fino a poco prima aveva mostrato per consolarmi. Soltanto allora l'accento che ho avvertito già diverse volte salta ancora fuori.

Sì, dannazione, voglio smetterla di lottarti!

«No, voglio che mi lasci perdere» ribatto, anche se è una squallida menzogna, perché pure adesso che sono adirata con lui, vorrei solo che mi stringesse ancora, facendomi dimenticare ogni dissapore.

Oggi quando ho trovato quelle orchidee sul banco ne ho ispirato l'odore, ero felice e sorridevo come una bambina che saltella dinanzi a un parco giochi. Non dico di aver scordato il suo affronto, ma avrei voluto concedergli fiducia e metterci una pietra sopra, poi Diana l'ha visto abbracciato a quell'arpia di Katiuscia in corridoio e il suo biglietto è finito nell'immondizia assieme alla mia euforia.

Ho presto accantonato quell'insulsa idea di dargli una chance, non avrei dovuto accordargli il beneficio del dubbio e, per mia fortuna, ho recuperato in breve il mio precario buonsenso.

Si passa le mani fra i capelli, stringendone qualche ciocca fra le dita, alza gli occhi verso il soffitto e stringe i pugni. Le sue doti d'attore però non mi convincono, l'ho visto recitare e penso che anche ora stia inscenando una farsa al solo scopo di ottenere quel che vuole.

Perché non rinunci a me?

Lo vedo tirare un lungo sospiro, poi pronuncia il mio nome con pazienza, riacquistando il controllo.

«Resia...»

Non rispondo. Quando muta il suo atteggiamento e perde quell'aria spavalda mi riesce difficile affrontarlo, in fondo ho un debole per lui, anche se non è il ragazzo adatto a me. Io ho bisogno di certezze, non ho aspettato sedici anni per buttarmi tra le braccia del primo venuto.

Chiudo gli occhi e li immagino mentre recitano, le sue braccia possenti la stringono e quelle labbra fameliche che solo qualche giorno fa mi hanno iniziata ai piaceri della carne adesso sfiorano quelle sporche della bagascia.

Sbuffo esacerbata. «Tornatene da quell'oca. Non dovresti recitare nel corridoio senza spettatori pronti ad applaudirti. Sei solo un animale da palcoscenico» dico con cattiveria, trascinata dal fastidio che la loro visione mi provoca. D'accordo, forse ho esagerato, ma sono ferita, e con lui perdo facilmente le staffe. Perché mi scombussoli così? Vorrei urlargli contro ciò che avverto, ma il mio orgoglio mi impedisce di pronunciare anche solo un'altra parola. In fondo è meglio battere in ritirata che indagare oltre sul mio altalenante stato d'animo.

«Hai ragione. Non vedo perché sprecare tempo con una ragazzina cocciuta» ribatte con tono burbero, eppure non muove alcun passo per allontanarsi.

Schiaccio i pugni, avverto dolore alle nocche tanta è la forza con cui congiungo le dita e assumo un'aria bellicosa.

Sapevo che prima o poi avrebbe rivelato la sua reale natura. «Sei proprio uno stronzo!» lo insulto collerica, non riuscendo a trattenere il mio livore.

Sbuffa sconfitto, abbassando le spalle e assumendo una posa stanca. «E tu sei cieca» replica, prima di andarsene, lasciandomi come un'ebete a riflettere su quelle strane parole, pronunciate con rammarico, quasi fosse anche lui dispiaciuto di continuare a lottare contro di me.

Mi appoggio al muro e respiro profondamente, chiudo gli occhi, tentando di riacquistare un barlume di lucidità e quando sento dei passi alle mie spalle, spero che sia ancora lui.

«Si può sapere dove diavolo eri finita? Miss bla bla bla ha urlato così forte che temevo per i miei poveri timpani: sanguinano ancora» tenta di sdrammatizzare, Giulio.

Conoscendolo, avrà udito metà della precedente conversazione, nascosto dietro l'angolo. «Perché si comporta così?» mi limito a domandargli afflitta, sedendomi sulle fredde mattonelle di quel corridoio, che fino a qualche istante prima, pareva un'imponente campo di battaglia.

«Tu gli piaci, ma non hai un caratterino semplice, sai? Faresti perdere la pazienza perfino a un santo e quel figo di sacro non ha esattamente nulla» sospira sognante, facendo spallucce.

Sbuffo e lui si siede accanto a me, scosta con tenerezza una ciocca di capelli dal mio volto, poi comincia ad accarezzarmi la nuca. Ho perso la mia animosità e non apro bocca, non so cosa dire, non posso credere che Mattia sia sinceramente interessato a me. Non voglio crederci.

«Non pensarci, tanto ho la vaga impressione che non finirà qui. Ho visto come ti guarda, sai? Se mi desse anche la metà delle attenzioni che riserva a te, gli salterei al collo. Oh, scusa, sto esagerando» aggiunge, quando si accorge che lo trucido con lo sguardo.

Prima Katiuscia, ora addirittura Giulio. Sono patetica e mi ostino ancora a negare la mia gelosia.

«Non lo so, non mi fido. Mattia non me la conta giusta» continuo cocciuta, eppure vorrei tanto credere che gli piaccio per davvero. Quel cavernicolo mi interessa purtroppo, e anche tanto.

«Sei una pesantona, amica mia, goditi un po' la vita, diamine. Comunque, che ne diresti di tornare in aula, adesso? Ti voglio bene, ma non desidero beccarmi una sospensione a causa tua.» Si alza repentino e mi porge il braccio che accetto ben volentieri.

Raggiungiamo l'aula senza fiatare e non appena entriamo non impedisco ai miei occhi di vagare in cerca dei suoi. La mia ricerca però è vana: Lucifero non è più rientrato.

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