Capitolo venticinque

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                                   RESIA

Sono proprio una stupida! Ormai è pomeriggio inoltrato, tira un bel venticello e il cielo è cupo almeno quanto il mio umore.

Perché ho accettato di uscire con questo babbeo?

Serro i pugni, conosco già la risposta, ma come al solito la depongo in un piccolo angolino del mio arnese difettoso, alias cervello, sperando così di accantonarla e fingere vi siano ragioni più valide della gelosia covata per Melania. Non riesco a credere che l'abbia baciata proprio davanti a me. È vero, ho rifiutato un appuntamento, gli ho intimato più volte di stare alla larga da me, ma ho avuto le mie buone ragioni.

Mattia è così altalenante. Dopo il nostro primo bacio mi ha spiattellato che non voleva impegnarsi, poi è tornato sui suoi passi, confessando che gli piaccio. Dopo ancora ha fatto il cretino con la bagascia, o forse il contrario, ma sta di fatto che la gelosia mi ha mandato in paranoia e sono stata un po' sgarbata con lui. Quando mi ha chiesto di uscire, ho rifiutato solo perché mi aveva fatto una scenata inutile per il vestitino che indossavo e dopo ha iniziato a intrattenersi ogni giorno con Melania. Mi ha mandato al manicomio col suo atteggiamento e io, per provocarlo, ho accettato le avances di Patrizio.

«Oh, come sei bella, Resia.»

Stiamo camminando in un vicolo secondario, vicino alla piazza. Ho preferito evitare il centro perché temevo di incontrare qualcuno che conosco, mia madre sa che sono con Diana.

«Sono onorato di essere qui con te» continua imperterrito, nella sua solita sequela.

Aumento leggermente l'andatura per nascondergli il mio volto esasperato e alzo gli occhi al cielo. È proprio un disco rotto. Ora ripeterà l'interminabile successione di frasi romantiche con cui mi esaspera da sette lunghi giorni: non immagini quanto mi rendi felice; quando ti imbronci così sei meravigliosa; ah, quanto vorrei avere l'ardire di farti una carezza. Diamine, quando se ne esce con quest'ultima mi sembra un ragazzo dell'epoca passata.

Ma come diamine parla?

«Grazie» grugnisco acida, poi do fondo a tutta la mia bravura d'attrice per degnarlo di un valido sorriso. In fondo mi dispiace trattarlo male, è sempre così maledettamente gentile con me.

Sospira sognante, facendo spallucce. Oh, no quando fa così sfoggia l'enunciato più temibile, il peggiore. Socchiude gli occhi e com'era prevedibile lo sputa fuori. «Ho un debole per te dal tuo primo anno, non credevo che un giorno avrei posseduto la giusta dose di coraggio per invitarti.»

Mi solleva il volto con delicatezza, costringendomi a guardarlo, quasi temo che avvicini quella bocca, decisamente troppo grossa, alla mia.

«Esagerato» ridacchio nervosa, allungando ancora il passo per seminarlo.

Se continua ad accostarsi, sono sicura che mi ritroverò presto a correre e non mi importa un accidente se mi crederà pazza.

Ammetto che i primi giorni la sua dolcezza mi ha lusingato, ma più di tutto ero arrabbiata con Mattia ed ero felice di avere un diversivo per distrarmi, ma so bene che la mia era solo una ripicca verso Lucifero.

«Rallenta, Resia, non dobbiamo vincere una maratona» scherza divertito, come faccia a esserlo è un mistero, visto che sono stata odiosa dall'inizio di questo strampalato appuntamento.

Non so come smontare il suo entusiasmo e fargli capire che non intendo ripetere questa tortura che lui definisce un perfetto idillio. Che schifo. Proprio in quel momento, come se la fortuna avesse deciso di voltarmi del tutto le spalle scorgo il ragazzo che mi ha spinto ad acconsentire a questa tortura, il colpevole: Mattia Uliano. Lucifero in persona.

L'immagine di quel cretino che si bacia con Melania mi si para davanti e non riesco a trattenere un brutto cipiglio mentre lo saluto.

«Ecco i due piccioncini» esclama, e il suo tono, se possibile, è ancora più scocciato e rauco del mio.

«Ciao» si intromette il mio accompagnatore con pari disappunto.

Bene. Il trio delle meraviglie.

Non credo corra buon sangue fra i due, stringo il braccio di Patrizio, è la prima volta che lo tocco oggi, ma mi sento sempre sotto tensione quando c'è Mattia, temo di barcollare e ho bisogno di un appiglio.

Lucifero nota subito il mio gesto e distoglie repentino lo sguardo, però non impedisce che il suo sopracciglio assuma quella solita forma ad arco.

«Risparmiami il tuo saluto, coglione» afferma altero, dandoci le spalle e allontanandosi da noi di qualche passo, senza degnarmi di alcuna attenzione.

Non ci vedo più dalla rabbia. Detesto che mi ignori ed è troppo che lo sta facendo. Corro, ignorando le proteste del mio accompagnatore e lo afferro per un braccio, ma quando gira su se stesso per guardarmi ha un'espressione così penosa che non riesco a dire alcunché. Maschera subito il turbamento che ho letto nel suo sguardo, ostentando un'espressione indifferente, ma ormai non ci credo, le sue doti di attore sono già state comprovate al corso. La nostra insegnante pende dalle sue labbra.

«E ora che vuoi da me?»

Non ne ho la più pallida idea, volevo urlargli di smetterla di ignorarmi, ma sono anche agitata e quindi ribatto con la prima stupidaggine che mi salta in mente.

«Patrizio non è un coglione, tu invece sei un gran maleducato.»

Mi passo le dita sulle labbra, pentendomene subito, ho solo voglia di gettargli le braccia al collo e abbracciarlo, ma mi sento una cretina, solo stamattina ha baciato un'altra e ora già striscio ai suoi piedi come se niente fosse.

«Sei seccante» replica, ripetendo quello che io stessa gli ho detto la settimana scorsa quando è ricominciata la nostra guerra. «Se volevi solo difendere il tuo fidanzatino perché non è in grado di farlo adesso, direi che ti risparmio l'incomodo e me ne vado» continua burbero.

Dio, quanto lo odio.

Perché deve farmi sempre quest'effetto?

Con lui perdo il lume della ragione e divento una povera stupida. Non parlo, non ce n'è alcun bisogno, il suo scherno è evidente, il mio disagio pure. Nel frattempo, il ragazzo d'epoca, ci ha raggiunto, assumendo un atteggiamento gongolante. Detesto quel sorriso soddisfatto e per una volta io e Mattia siamo dello stesso avviso perché non gli permette neanche di aprir bocca, gli sferra un pugno in faccia e se ne va, lasciandolo a terra tramortito.

Vorrei corrergli di nuovo dietro, ma il sangue che cola dal naso di Patrizio guadagna la mia completa attenzione.

«Mi ha rotto il naso» piagnucola lamentoso, temo che sia davvero così, ma non riesco a provare tenerezza per lui.

Cristo, sembra un poppante. Piange e si contorce peggio di una bambolina capricciosa.

Cerco un tovagliolo nella borsa per tamponarlo e glielo porgo, mi siedo accanto a lui, a terra, sul quel marciapiede mentre ancora una volta il mio sguardo si posa altrove.

Mattia è poco più avanti, fermo e ha un'espressione abbattuta quando a sua volta ci fissa. Sospiro, alzando le spalle e lui va via, stavolta per davvero.

Mi concentro di nuovo su Patrizio. «Dai, tranquillo, vedrai che passa subito» dico, tentando di confortarlo.

Non gode della mia simpatia, ma non voglio neppure che stia male. Lui per tutta risposta mette su un broncio insopportabile e procede con nuova sequela di frasi lamentose. Quanto meno quest'esperienza ha arricchito il suo nauseante repertorio.

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