Capitolo nove

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                                      MATTIA

Questa ragazzina mi farà impazzire, non ha tutte le rotelle funzionanti, ora la tengo stretta fra le mie braccia e si è ammutolita, ma sono certo che quella lingua biforcuta sparerà ancora sentenze a raffica nei miei confronti.

Non capisco perché si alteri così tanto a vuoto.

D'accordo, sono un tipo sfacciato, ma di solito è una cosa che piace alle femmine, lei invece si indispettisce per un nonnulla. Non conto più le volte in cui avrei voluto zittirla con un bacio, comincia proprio a seccarmi questo suo atteggiamento scostante.

È un mix perfetto di innocenza e spavalderia, un attimo prima sembra così ingenua che bramo sbattergli in faccia il mio desiderio, l'attimo dopo appare infuriata per chissà quale sega mentale.
Mi ha anche pestato il piede perché ho riso.
Da quando è vietato sorridere?

L'idea che la professoressa abbia scelto proprio noi per rappresentare un dottore con la sua paziente mi ha subito divertito, quella matta invece non ha colto l'ironia della situazione e si è arrabbiata.

Perché deve essere così dannatamente strana?

Approfitto dell'attimo di quiete per stringerla in maniera più salda al mio corpo, è così piccola e fragile, ma i pensieri che mi ispira non sono per nulla casti.

Sembra una bambina, ma soffre già di crisi da donna di mezza età. In effetti è troppo complicata per me, che di solito scopo e basta senza tanti preamboli. È diversa dalle ragazze che di solito frequento, anzi è proprio l'opposto, ma non posso starle alla larga. Ha un buon profumo, le mie narici sono assuefatte al suo odore, sa di nocciola, di mandorle appena sfornate, e al posto di dirigermi su quel maledetto palco, ora la condurrei altrove, facendole conoscere ben altre gioie.

Tuttavia non credo che sarebbe consenziente, è vergine, non so neppure se qualcuno abbia mai lambito quelle deliziose labbra. Una persona più navigata non avrebbe mai confuso un puro desiderio con la nausea da mal di stomaco, e non reagirebbe in modo così intimidito quando la stuzzico.

Sorrido divertito, ma questo sembra riscuoterla dallo sbigottimento, perché mi fissa in cagnesco.

«Mettimi giù caprone» si lagna scorbutica, senza alzare troppo la voce.

Siamo pur sempre in classe e scommetto che asseconderà i miei capricci pur di non fare la figura della pazza invasata. Osservo i fili ramati che colorano la sua chioma e punto i miei occhi nei suoi, pagliuzze dorate che brillano di luce propria, schegge taglienti di querce secolari, affilate e pungenti.

Sbuffo, infastidito dal disordine dei miei pensieri e non mi degno neanche di risponderle, voglio solo stringerla fra le braccia ancora per un po', sicuro che più tardi dovrò tollerare qualche inutile sfuriata.

È insano, dovrei scappare, come si ostina a far lei, credendo che non mi sia accorto dei suoi stupidi nascondigli o fughe continue, invece non posso fare a meno cercarla. Lei per me è diventata una sfida, un gioco troppo incalzante, non posso tirarmi indietro e rinunciare alla battaglia.

Inchiodo sul palco, ma non la faccio scendere, mi piace toccarla e non sono così sciocco da non approfittarne.

Un'idea malsana mi attraversa la mente e io, saggiamente, la assecondo. «Le si sono rotte le acque, ha una dilatazione di otto centimetri, devo condurla in sala parto» asserisco, con tono grave.

Voglio ridere a crepapelle tanto mi diletta l'espressione sbalordita che le si è dipinta sul volto, un acceso rossore le colora le gote, gli occhi son quasi sbarrati e la bocca spalancata. Mi fingo serio per onore dello spettacolo.

La professoressa sembra approvare la mia iniziativa e fa riaprire il sipario, che nel frattempo era stato di nuovo chiuso per il cambio scena, difatti troneggia un letto nel centro, sul quale sono poggiati arnesi del tutto inutili. È un altro l'utensile che bramo sfoggiare sulle lenzuola, ma ora come ora, non mi pare affatto opportuno.

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