Capitolo sette

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                                    RESIA

Ho rimuginato per giorni sulla mia ridicola confessione del voltastomaco. Sono stata proprio ingenua e ne sto pagando le conseguenze. Gli ho spiattellato l'ascendente che ha su di me e lui, ovviamente, se ne è approfittato. Tutte le volte che l'ho incontrato nel cortile della scuola o in corridoio, si è comportato in modo odioso. Non ha perso occasioni per prendermi in giro con battute smaliziate, e io, come una cretina, quando non ero con lui volevo ammazzarlo, ma quando me lo ritrovavo faccia a faccia, mi imbarazzavo e non riuscivo a risponderlo per le rime.  

La mia debolezza mi ha messo in crisi e dopo i primi giorni, anziché passare al contrattacco, ho iniziato a nascondermi.

Fuori scuola, appena lo vedo nelle vicinanze, mi allontano e ho cercato di limitare le mie uscite dalla classe e iniziato a consumare la merenda seduta al mio banchetto, però sono stanca di comportarmi da eremita a causa sua.

«Si può sapere che diamine stai pensando?»

Giulio inarca un sopracciglio, inalberato, poggia il peso del corpo su una gamba, mentre col palmo stringe un fianco e i suoi occhi saettano indispettiti sulla mia figura; Diana, accanto a lui, mi squadra, facendomi sentire maledettamente colpevole.

«Scusate» asserisco dispiaciuta, spostando lo sguardo dall'uno all'altro.

Ero uscita con l'intento di distrarmi, invece sono seduta su una vecchia panchina e mi accorgo solo ora di non aver aperto proprio bocca.

«Vuoi parlarne?» domanda Diana.

Non so cosa dire, non mi capisco, non capisco perché sono diventata così rammollita. Mai nessuno mi aveva fatto sentire così prima d'ora.

«Suvvia, Resia, non ti stiamo chiedendo la luna, ma solo di aprirti con noi» continua, Giulio.

Tiro un gran sospiro e comincio a torturarmi le mani, giocando con il Pandora che mi accarezza il polso.

«Dobbiamo cavarti le parole di bocca?» afferma Diana, il suo tono è dolce, eppure percepisco un muto rimprovero, in effetti mi meraviglio che sia stata così paziente, negli ultimi giorni a scuola ero sempre intrattabile.

«Lo odio» confesso decisa, pur sapendo che non è l'unico sentimento che provo verso Mattia.

Ciò che odio in realtà è il senso di smarrimento che mi provoca.

«Come no, con quel culo ne dubito, tesoro. Immagino abbia anche un bel pacco, sai» ipotizza eccitato, Giulio.

Gli do un buffetto sulla gamba. «Sempre il solito pervertito, e comunque lo detesto, perché è antipatico. Non fa altro che stuzzicarmi.»

«E tu ficcagli la lingua in bocca così la smette di parlare» suggerisce, ancora, Giulio.

«Fagli anche una palpatina, possibilmente» rincara la dose, Diana.

Alzo gli occhi al cielo, prima di ribattere. «Da quale pulpito... Non mi pare voi siate così intraprendenti, o mi sono persa qualcosa?»

Diana non ha mai baciato un ragazzo e Giulio è volubile, ogni mese gli piace un ragazzo diverso, ma finora è stato sfortunato, perché ha sempre provato simpatia per ragazzi etero e non ha mai beccato qualcuno disposto ad accettare un suo approccio.

«Sempre devota al convento.»
«Sempre sfigato.»
Replicano all'unisono, mimando la stessa espressione afflitta e imbronciata.

«Non avevo dubbi!» esclamo con un sorriso sulle labbra.

Sono proprio buffi e per un attimo riescono a distrarmi dai miei problemi.

«Dio dà il pene a chi non ha i denti» commenta Giulio, fissandomi con una punta d'invidia.

Io e Diana non riusciamo a trattenerci e scoppiamo in una sonora risata.

Non ci credo che l'ha detto per davvero.

«Non era il pane?» chiedo, mentre continuo a sbellicarmi.

«Nel tuo caso è più indicata il pe...»

«Shhh... Ho capito, non c'è bisogno che ti ripeti» lo blocco, guardandomi intorno.

Sembra che nessuno abbia notato i nostri discorsi depravati. Un gruppetto di ragazzi sta chiacchierando su una panchina vicina, altri passeggiano, e una famiglia sta seduta al tavolo di una gelateria, poco distante.

«Cos'hai contro il pene?» insiste malizioso, puntando il suo sguardo su di me. «A proposito, hai mai visto com'è fatto un... D'accordo non lo ripeto, ma rispondi» replica, alzando le mani davanti a sé, per arrestare il colpo che gli stavo sferrando.

Si è fissato con 'sta storia del pisello.

«Cosa ti cambia?» chiedo, indispettita.

«Non ci credo... davvero non ti è mai venuta la curiosità di guardarlo? Neanche una sbirciatina in internet? Diamine Resia, anche un dodicenne sa com'è fatto un pene!»

Questo è troppo...

«Perché dovrei desiderare di vederlo? Comunque una volta ho beccato mio padre in bagno, quindi sì, dannazione, ho visto quel muscolo floscio e peloso» replico, surriscaldata.

È accaduto qualche anno fa e io volevo morire dalla vergogna. Sono subito scappata via dal bagno, rintanandomi nella mia stanza e mia madre mi ha raggiunto per un discorsetto anatomico piuttosto sgradevole.

Non scorderò mai le sue parole.

«Oh, ti assicuro che in certi momenti non ha niente di flaccido» risponde orgoglioso Giulio, ergendosi altezzoso.

Non capisco perché i maschi siano così vanitosi nei confronti di quel salsicciotto, noi non andiamo così fiere della nostra patata, o almeno non io; per me non ha nulla di speciale, anzi, a onore del vero è anche un po' bruttina.

«Siediti, cretino.»

Si ostina a mostrarsi ritto e si posiziona davanti a me, il mio sguardo, come attratto da una calamita, si poggia sul suo jeans dal cavallo basso, ma distolgo presto gli occhi, sentendomi una pervertita.

«Se me lo fissi tu non mi si alza, mi dispiace, altrimenti ti avrei dato una dimostrazione pratica, però quando un ragazzo si eccita, e se glielo guardi così, succede, gli si rigonfia sempre» specifica serio.

«Oh sì, te lo assicuro» risponde Diana, finora silenziosa.

Le lanciamo entrambi un'occhiataccia.

«E tu che ne sai, suor Diana?» la provoco.

Inizia a giocherellare con qualche ciocca di capelli, nervosa, e si intrappola il labbro fra i denti.

Ben ti sta, così impari a gongolare alle mie spalle!

«Ero curiosa» si giustifica, intimidita.

«Che hai fatto?» si allarma, Giulio.

«Io... ho visto un paio di video su YouPorn» confessa, abbassando lo sguardo.

Giulio tira un sospiro di sollievo, e si lascia ricadere sulla panchina.

«Pensavo quasi che l'avessi data. Comunque basta stronzate adesso, Resia, cosa devi dirci?»

Speravo avessero scordato la questione, che stupida!
Faccio un gran sospiro, stavolta non posso tergiversare, quindi, a malincuore, gli racconto ogni cosa: la nausea che provo quando Mattia mi è accanto, la mia strampalata confessione e per finire i sentimenti altalenanti che sento verso di lui.

Loro annuiscono lasciandomi rivelare tutto, e alla fine, quel che fuoriesce dalle loro labbra mi manda ulteriormente in confusione.

«Semplice» dice Giulio.

«Elementare» gli dà man forte Diana.

Li guardo stizzita.

«Ti piace, Resia» ribadiscono insieme.

Nego prontamente, ma dentro me so che hanno ragione e questa nuova consapevolezza mi spaventa ancora di più.

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