Capitolo 22.

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Sabrina:
"È lui" risponde ed il fastidio le si palesa sul viso.
Prendo il telefono dalle sue mani che ancora sta suonando.
"Pronto" rispondo.
"Sabrina ascolta stamattina non ti ho detto nulla, perché l'ho dimenticato...però, la prossima settimana siamo stati invitati alla festa di compleanno di mia sorella" mentre sento le sue parole vedo lei che mi guarda in imbarazzo, così va via verso la cucina.
"Aah ma quando è? De sera?"
"Sì, sarà in un ristorante con amici e parenti"
"Ho capito"
"Quindi?" mi chiede.
"Quindi va bene"
"Perfetto"
Ci salutiamo e chiudiamo la chiamata.
Vado in cucina e vedo che sta riscaldando il pranzo che la sua collaboratrice ha preparato.
Esce la teglia con delle lasagne dal microonde e sta per tagliare due belle porzioni, una per me e l'altra per lei.
Cammino lentamente dietro di lei fino a raggiungerla, circondo il suo ventre con le mie braccia e poso il mio mento sulla sua spalla.
Lei si gira leggermente verso di me e sorride un po'.
"Tutto bene?" le chiedo vedendola un po' inquieta ma annuisce senza dire nulla.
Si sposta dalle mie braccia, prende i piatti con la lasagna e li mette sul tavolo.
"Io vado a vestirmi" dico notando di essere ancora in accappatoio, ma lei neanche mi ascolta.
Mentre mi dirigo verso la camera da letto per vestirmi, lancio un'occhiata verso di lei.
È seduta a tavola, con un cucchiaio in mano, ma non sta davvero mangiando.
Lo sguardo basso, i suoi movimenti sono lenti, quasi forzati.
C'è qualcosa nel modo in cui tiene la forchetta, nell'increspatura delle sue labbra, che mi fa capire quanto sia turbata.
Dopo aver indossato i vestiti che mi ha preparato torno in cucina, è ancora lì seduta.
Il piatto è intatto, non sembra aver mangiato nulla.
Sta solo spostando il cibo con la forchetta da un lato all'altro distrattamente, come se il cibo fosse l'ultimo dei suoi pensieri e fosse più concentrata sui suoi pensieri.
La osservo per un attimo in silenzio, poi lei alza lo sguardo e mi osserva.
"Non mangi?" le chiedo.
"Aspettavo te" sta chiaramente mentendo.
Mi accomodo anch'io a tavola, posizionando di fronte a lei.
"Eccomi qua...adesso possiamo mangiare" annuisce mentre aspetto che lei inizi, ma non lo fa.
"Marì" la chiamo ma non risponde.
"Maria mi guardi"
Lei alza il viso lentamente e quando i nostri occhi si incrociano, noto subito i suoi occhi lucidi.
C'è una fragilità in quegli occhi che non riesco bene a decifrare, un qualcosa di trattenuto che da un momento all'altro potrebbe esplodere.
Capisce che noto i suoi occhi, così abbassando velocemente lo sguardo.
"Che hai?" ma non ricevo nessuno risposta, come sempre.
Mi alzo dalla sedia, faccio il giro del tavolo e mi avvicino verso di lei sedendomi sulle sue gambe.
"Allora?" le chiedo circondando il suo collo con le mie braccia.
"Allora cosa?"
"Cos'hai? E non me dire gnente perché me incazzo Marì!"
Sposta i suoi occhi da me, dirigendoli altrove come se stesse cercando le parole giuste per dirmi quello che la turba.
"È per la chiamata de poco fa?" le chiedo, con la voce bassa ma carica di preoccupazione.
Lei non risponde subito, i suoi occhi ancora lucidi cercano di sfuggire ai miei, come se volesse nascondere quello che prova.
Ma è chiaro che la domanda l'ha colpita.
Mi avvicino alle sue labbra, lasciandole un bacio a stampo cercando di rassicurarla.
"Sappi che per me non conta più nulla...ormai...ci sei te" le dico con dolcezza.
Le mie parole cercano di tranquillizzarla, le metto una mano leggera sulla spalla, sperando che senta quanto sia sincero ciò che le dico.
"Davvero?" domanda guardandomi con quegli occhi teneri e un po' tristi.
"Sì...ma perché mo' hai sti dubbi?"
"Non lo so...a volte ti guardo e penso che cavolo ci trovi in me., cioè guardami cosa ci trovi di bello in me?!" mentre parla mi accorgo di quanto sia fragile in questo momento.
La sua sicurezza sembra svanita, lasciando spazio alla debolezza.
La vedo abbassare lo sguardo, le sue spalle sono curve come se portasse un peso invisibile.
Mi avvicino un po' di più, poggiando la testa sul suo petto e mi rannicchio su di lei, sento il bisogno di starle accanto.
È vulnerabile e questa sua vulnerabilità mi colpisce più di quanto avrei immaginato.
"Sai a volte me lo chiedo anch'io, mi chiedo ma come mai tra tutti gli uomini e tra tutte le donne, proprio te! Una donna, che poi non sei 'na donna qualsiasi, sei la mia migliore amica. Poi non so ti guardo, noto come mi fai sentire, come mi parli, come mi guardi...noto il modo in cui adesso ti mostri un po' più sensibile davanti ai miei occhi e questo per me è tanto importante perché significa che adesso ti fidi di me, che hai capito che non sei sola. Noto tutte queste piccole cose che poi per me piccole non sono e trovo la risposta alla mia domanda. Io in te ci vedo il mio porto sicuro, la spalla su cui so che potrò poggiarmi sempre. E poi guardati Marì, se 'na gran fica! Sei la mia Maria! La Maria che ha scombussolato la mia vita, in meglio! La Maria che mi ha persino fatto dubitare sul mio orientamento sessuale! Sei 'na matta Marì!" mentre dico tutto ciò sono ancora poggiata sul suo petto.
Mi alzo da lei e noto che sta piangendo.
"Ehi" le sussurro mentre le asciugo una lacrima.
"Scusa....non è nulla" si asciuga velocemente le lacrime con il dorso della mano, come se non fosse successo nulla.
È un gesto rapido come se volesse nascondere quanto accaduto, come se volesse nascondere questa sua vulnerabilità.
Fa un respiro profondo e cerca di ricomporsi.
"Sto bene Sabri...è tutto apposto" dice invitandomi ad alzarmi dalle sue gambe.
Ma perché si comporta in questo modo? Sembrava che si stesse aprendo con me e invece siamo di nuovo punto e a capo.
"Ma mi spieghi perché te comporti così con me?"
"Così come?"
"Non stai bene e lo sai anche te! Lo sai che non sai gestire bene le emozioni ed è inutile che me dici che non è niente, perché non è vero! Ti stavi mostrando finalmente priva di scudi e adesso guardati...pronta ad indossare di nuovo l'armatura e a fingere che tutto vada bene!" la mia voce è gentile ma ferma.
Non voglio che si nasconda dietro di nuovo dietro quella maschera che adesso so che è capace di togliere.
Voglio che sappia che può mostrarsi per com'è, senza paura.
"È che...sono abituata a gestirmi da sola, a non far vedere quando qualcosa mi colpisce. Fingere che vada tutto bene è molto più semplice per me" sta ammettendo una parte di se, un lato del suo carattere che le costa fatica mostrare.
"Bene adesso st'abitudine la togliamo via, che dici?" incastro le mie dite tra i suoi quattro capelli biondi, mentre la guardo negli occhi.
"Se vuoi posso aiutarti! Famme diventà 'a psicologa tua Marì!" dico ridendo.
"Ma Sabrina che dici?!"
"Vabbè dai magari 'a psicologa no perché pe' fa' quello ce vogliono i titoli ed io non li ho. Però se tu me lo permetti posso aiutarti io quando ci stanno sti momenti bui, proprio come sto facendo adesso. Marì se vogliamo costruire un rapporto insieme devi prima  imparare che puoi sempre contare su di me! Io sosterrò te e tu sosterrai me"
Annuisce, mi abbraccia e poggia la sua testa sull'incavo del mio collo.
"Me lo prometti?"
"Sì sì" risponde distrattamente mentre si nasconde tra la mia pelle.
"No Marì arzate!" e così fa.
"Guardami, dimmi che hai capito e che mi prometti che quando c'è qualcosa che non va non divento un riccio! Perché non va bene...e poi scusa questa è una mia caratteristica, non puoi comportarti pure te così! Pensa se un giorno abbiamo qualcosa che non va tutti e due...ce trasformiamo in due mummie Marì, poi te vedi!" scoppia a ridere in una dolce risata.
"Quindi?!" insisto.
"Va bene, ho capito! Te lo prometto. Ti prometto che proverò a non chiudermi e a parlare con te"
"Grazie" le sussurro.
"Perché grazie?" chiede non capendo.
"Perché già oggi mi hai dimostrato qualcosa" mi bacia delicatamente sulle labbra però poi lasciarmi un lento bacio sul collo ed io sento il cuore accelerami e dei brividi che percorrono la mia pelle.
Il calore del suo respiro contro la mia pelle mi fa chiudere gli occhi per un istante, e mi rendo conto di quanto il suo tocco mi coinvolga. È un piacere sottile, ma profondo, che mi fa desiderare di essere ancora più vicina a lei. Il mondo sembra fermarsi in quel momento, lasciando solo noi due e quel contatto che parla più di mille parole.

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